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Stefano Luppi
Leggi i suoi articoliAl Museo Morandi presso il Mambo - galleria d’arte moderna va in scena fino all’8 gennaio 2017, a cura di Fabrizio D’Amico e Mariella Gnani, «Ennio Morlotti. Dalla collezione Merlini al Museo Morandi» (catalogo SilvanaEditoriale). Si tratta di un dialogo visivo tra Morandi (1890-1964) e il Morlotti (Lecco, 1910 - Milano, 1992) che nasce da una analisi di Arturo Carlo Quintavalle. Lo storico dell’arte, anni fa, ricordò che proprio Morlotti vide Roberto Longhi, davanti a sue opere esposte alla galleria Milione di Milano tra il ’39 e il ’40, chiedere al gallerista Gino Ghiringhelli chi fosse quel «pittore morandiano così interessante». Da questa intuizione si sviluppa l’attuale esposizione, composta da dipinti del museo bolognese e altri provenienti dalla collezione Merlini che illustrano l’intero percorso morlottiano, a partire dagli esordi milanesi dei primi anni Quaranta.
Il percorso prende avvio da due importanti esemplari di quella stagione, «Natura morta» del ’42 e «Dossi» del ’46 nelle quali l’artista lombardo elabora e assorbe la pittura di Morandi, prima di arrivare, intorno alla metà degli anni Cinquanta, alle sue prime prove mature, caratterizzate da un’immersione nel magma di una pittura di forte impasto materico e cromatico. Oltre che con Morandi la rassegna propone analogo confronto con Paul Cézanne, come in «Nudi», «Granoturco» e «Adda a Imbersago», mentre la serie di dipinti di «Rocce» (dalla metà degli anni Settanta ai tardi anni Ottanta) si lega maggiormente al paesaggio di Monet.