«Beauty and desire» (fino al 14 febbraio 2024), a cura di Sergio Risaliti con Eva Francioli e Muriel Prandato, è la mostra che il Museo Novecento, in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation e la Fondazione Alinari per la Fotografia, dedica a Robert Mapplethorpe (New York, 1946-Boston, 1989).
La mostra segue il filo delle fonti di ispirazione del grande fotografo americano, tra cui Michelangelo, al quale egli si relaziona anche grazie alle fotografie realizzate dagli Alinari, molto definite in senso scultoreo e capaci di esaltare l’energia racchiusa nei corpi del Buonarroti. Tuttavia, un nucleo molto interessante e più inedito riguarda i confronti con alcune fotografie risalenti alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento, provenienti dagli Archivi Alinari e in particolare quelle del barone Wilhelm von Gloeden (Wismar, 1856-Taormina, 1931), tra i pionieri della «staged photography».
Il titolo della mostra si riferisce infatti ai temi che ricorrono in entrambi i fotografi, spingendoci a una riflessione sull’evolversi dei rapporti tra arte, morale, religione e spiritualità. Corpi maschili (soprattutto) e femminili, ma anche elementi tratti dalla natura, o oggetti, sono calati, seppur con uno spirito diverso, legato all’epoca in cui sono concepiti, nelle forme della classicità.
Mapplethorpe scopre probabilmente Von Gloeden al tempo di un suo viaggio a Napoli, negli anni Ottanta, tramite Lucio Amelio (gallerista di Warhol e Beuys), che al fotografo tedesco aveva dedicato, tra il 1977 e il 1978, una mostra e due pubblicazioni, con prefazioni di Marina Miraglia e Roland Barthes. Proprio Amelio, nel 1984, avrebbe esposto opere di Mapplethorpe, in cui si coglie l’eco di quegli impulsi apollinei e dionisiaci (che Nietzsche riferiva alla tragedia greca) e dove archetipi figurativi del mondo classico si mescolano all’iconografia del mondo cattolico.
Nei corpi e nei sessi esibiti come oggetti, nelle membra umane raggelate in una forma perfetta che le assimila a quelle di una pianta o di un fiore (anch’essi resi in una forma scultorea), la perturbante potenza dei soggetti convive con la forza trasfigurante dell’algida bellezza che l’artista fotografo riesce a imprimervi.