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Prima a Lecco (fino al 10 settembre) nel Polo museale di Palazzo delle Paure, poi nella Reggia di Caserta (a novembre e dicembre), una grande antologica ripercorre il lavoro di Tino Stefanoni, l’artista lecchese che festeggia così i suoi 80 anni.
La mostra «Tino Stefanoni, pittura oltre la pittura. Opere dal 1966 al 2016», curata da Barbara Cattaneo e Sabina Melesi e commentata in catalogo (Allemandi) da Valerio Dehò, riunisce numerose opere inedite e spazia dagli esordi alla metà degli anni Sessanta, a oggi. Risale al 1967, infatti, il primo, importante riconoscimento: in quell’anno Stefanoni vince il Primo Premio San Fedele di Milano, manifestazione (tuttora attiva) dedicata ai giovani artisti, della cui giuria facevano parte allora, tra gli altri, personalità come Giuseppe Panza di Biumo e Palma Bucarelli. Sarebbe poi stato invitato alla Biennale di Venezia (1970 e 2011) e ad altre mostre internazionali.
La mostra attuale si apre con lavori del 1965, segnati dalla sua ammirazione per la «metafisica del quotidiano» di Carlo Carrà, capace di rivelare la bellezza nascosta nelle cose ordinarie. Sono di questi anni (1965-68) i «Riflessi», un ciclo di piccoli rilievi tondi sui quali l’artista raffigura paesaggi miniaturizzati, nitidi e meticolosi. Di lì a poco Stefanoni scoprirà l’ironica «bellezza» dei segnali stradali («Segnali stradali regolamentari»), meticciati da oggetti feriali che ne modificano la valenza semantica e che torneranno lungo gli anni Settanta (matite, mestoli, scope, flaconi, giacche e altro, disposti in file ordinate), nei quali l’ironia pop lascia spazio al rigore concettuale («Elenco di cose», 1976-83), cui presto si sostituiscono le «Apparizioni», con le loro immagini avvolte dalla bruma. Fino agli ultimi decenni, durante i quali si succedono dipinti rarefatti, di assoluta essenzialità e d’immediata, voluta riconoscibilità, che nelle recenti «Sinopie» giungono quasi alla monocromia, riducendosi a puri, essenziali contorni.