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Alla Collezione Peggy Guggenheim 60 anni dopo il trionfo alla Biennale
- Guglielmo Gigliotti
- 21 settembre 2018
- 00’minuti di lettura


Osvaldo Licini, «Amalassunta su fondo verde», 1949, Olio su tela, Collezione Gori - Fattoria di Celle, Pistoia. Foto Carlo Chiavacci, Pistoia, © Osvaldo Licini, by SIAE 2018
Il volo di Licini
Alla Collezione Peggy Guggenheim 60 anni dopo il trionfo alla Biennale
- Guglielmo Gigliotti
- 21 settembre 2018
- 00’minuti di lettura
Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliUna mostra alla Collezione Peggy Guggenheim, curata da Luca Massimo Barbero e aperta dal 22 settembre al 14 gennaio, ripercorre, con oltre cento opere, la parabola di Osvaldo Licini (1894-1958). Lo spirito poetico che animò la sua vicenda pittorica è nella citazione che fa da titolo: «Che un vento di follia totale mi sollevi». In mostra testimonianze dei precoci esordi in area futurista, seguiti, dopo una grave ferita a una gamba subita nella Prima Guerra Mondiale, da una stagione di maturazione umana e artistica svolta a Parigi dal 1917 al 1926.
Il grande salto artistico avviene tuttavia nella ben più raccolta Monte Vidon Corrado, il borgo sulle colline marchigiane dove Licini era nato e dove vivrà fino alla morte, in volontario isolamento dal mondo (fu anche sindaco dal ’46 al ’56 nelle liste del Partito Comunista). È qui che negli anni Trenta realizza opere astratto-geometriche. Ed è sempre qui, a Monte Vidon Corrado, che da metà anni Quaranta prendono vita le sue «Amalassunte» e i suoi «Angeli ribelli», in una svolta verso la liberazione definitiva al fantastico, dall’artista riassunta così: «Dall’astratto io me ne sto volando adesso, in foglie e fiori, verso lo sconfinato e il soprannaturale. Certo la solitudine mi è di grande aiuto».
Tra le opere in mostra, alcune fondamentali di ogni periodo, come «L’autoritratto» del 1913, il «Paesaggio marchigiano (Il trogolo)» del 1927, «Castello in aria» del 1933-36, «Amalassunta su fondo verde» del 1949 e «Angelo ribelle con cuore rosso» del 1953. Presupposto della mostra veneziana è tuttavia che un vera cesura tra i vari periodi non vi fu mai, avendo in ogni opera Licini trascritto il suo amore per il paesaggio marchigiano, anche se visto con occhi sognanti.
Quando nel ’58, a pochi mesi dalla morte, la Biennale di Venezia gli conferì il Gran Premio Internazionale per la pittura, Licini visse una grande emozione, eguagliata solo da quella suscitata, come narrato da testimoni, dai festeggiamenti con banda e fuochi d’artificio con cui venne accolto al suo ritorno in paese.

Osvaldo Licini, «Amalassunta su fondo verde», 1949, Olio su tela, Collezione Gori - Fattoria di Celle, Pistoia. Foto Carlo Chiavacci, Pistoia, © Osvaldo Licini, by SIAE 2018