Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Stefano Luppi
Leggi i suoi articoliEmerge un Giorgio de Chirico (1888-1978) certo conosciuto, ma forse ancora non debitamente compreso, dalla mostra «De Chirico e l’oltre. Dalla stagione “barocca” alla neometafisica (1938-1978)», curata da Elena Pontiggia e Francesca Bogliolo e allestita dal 13 ottobre al 12 marzo in Palazzo Pallavicini. Che dell’artista di Volos sia stato studiato ogni angolo è pacifico, ma il segmento dagli anni Quaranta, quello dal rientro in Italia (Milano, Firenze, poi Roma dal ’44) in poi è meno scandagliato dalla critica.
Proprio da qui parte la rassegna bolognese, composta da 70 pezzi, con lavori quali l’«Autoritratto nudo» del ’45 e l’emblematico «Autoritratto nel parco con costume del Seicento» del ’56, per proseguire con la «Natura morta ariostesca» del ’40, «La pattinatrice» coeva che ritrae la moglie Isabella e la serie relativa a Villa Medici. Approfonditi anche gli anni successivi, il decennio finale 1968-78, quello neometafisico caratterizzato dalla riproposta di manichini, piazze d’Italia e altri enigmi: ecco allora che l’artista «rifà» gli storici «Ettore e Andromaca», «I bagni misteriosi», «Le muse inquietanti» a caratterizzare una fine di carriera (e di vita) citazionista e molto ironica.
Elena Pontiggia, quali altre opere principali ordinate in mostra?
Sono tante. Segnalerei appunto la serie degli autoritratti, come quello in veste del Seicento in cui de Chirico non solo asseconda il suo interesse per una decorazione esuberante, per la bellezza di vesti inconsuete, ma dichiara tutta la sua distanza dal suo tempo, la sua estraneità al moderno. De Chirico, in questo senso, è il primo postmoderno. Segnalerei poi l’esposizione delle nature morte degli anni Quaranta che sono una sorta di metafisica della natura: non sono opere realistiche, ma apparizioni. Fino al «Ritorno al castello avito», del 1969, ispirato al celebre Guidoriccio di Simone Martini con de Chirico, ultraottantenne, che sembra cogliere, insieme all’ironia, la consapevolezza di un commiato non lontano.
Qual è il peso nella sua poetica dei periodi barocco e neometafisico?
Le sue opere tarde sono state a lungo incomprese perché pesava il confronto con la sua stagione metafisica, una stagione inarrivabile e irripetibile. De Chirico, però, non è morto nel 1918, come pensava malignamente Breton. Anzi, ha continuato a dipingere con grandi invenzioni, sia quando negli anni Quaranta e Cinquanta guarda all’età barocca di Rubens (e di Raffaello, Ingres, Dürer), sia quando, nel 1968, reinventa la sua pittura metafisica. La reinterpreta cioè con un senso del gioco e una leggerezza che la trasformano in qualcosa di diverso dai suoi quadri degli anni Dieci. La tragica scoperta dell’assurdità del mondo lascia posto a una visione più serena.

Elena Pontiggia

Francesca Bogliolo

Ettore e Andromaca (1970), di Giorgio de Chirico. © Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma. © Giorgio De Chirico by SIAE 2022