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La terza mostra-dialogo della Pinacoteca di Brera, curata da Nicola Spinosa e James Bradburne, ha creato gravi dissidi in seno al comitato scientifico del museo, tanto da provocare le dimissioni di Giovanni Agosti. L’attribuzione a Caravaggio della tela francese raffigurante «Giuditta e Oloferne», di proprietà privata, è infatti assai dibattuta, ma è stata imposta al museo dai prestatori. Vincolata per 30 mesi dal Ministero francese, l’opera è sul mercato per 120 milioni di euro, e la sua esposizione in un museo come Brera con l’attribuzione a Caravaggio, sebbene attenuata dall’avviso della Pinacoteca che tale attribuzione è stata imposta dal collezionista, pena il ritiro del dipinto, secondo molti finirebbe per avallarne l’autografia. Il direttore James Bradburne, da parte sua, sostiene che il museo sia il luogo ideale per porre a confronto le opere e stimolare il dibattito fra gli studiosi. Abbiamo raccolto i pareri di Giovanni Agosti e di Nicola Spinosa.
Professor Agosti, che cosa contesta alla mostra in questione?
L’operazione è, a mio parere, discutibile a monte, ma ciò che davvero non si può condividere è il ricatto, imposto dal proprietario, di non ammettere deroghe nella formulazione del cartellino con cui l’opera, che è sul mercato, è esposta nel museo; tanto più che lo stesso Nicola Spinosa si esprime nel catalogo in termini problematici (in realtà, Nicola Spinosa è ora convinto dell’autografia caravaggesca; si veda sotto, Ndr). E ora, l’esame diretto del dipinto, in precedenza non sottoposto al comitato scientifico, mi spinge a escludere la paternità caravaggesca.
Professor Spinosa, qual è la sua opinione riguardo alla mostra e al dipinto contestato?
Premesso che non amo le mostre «di una sola opera», se tale opera non è contestualizzata in un rapporto con opere del museo che la ospita, credo che, al contrario, l’operazione sia vincente quando l’opera viene posta in dialogo con altre, creando un dibattito e posizioni dialettiche. Per me la «Giuditta e Oloferne» di Tolosa è di Caravaggio, ed è stata dipinta a Napoli. Tuttavia, a prescindere da questo, ciò che a mio giudizio è molto interessante è il confronto tra la «Cena in Emmaus» di Brera, sicuramente autografa, l’opera di Tolosa e quelle certe di Finson dal Musée des Beaux-Arts di Marsiglia; confronto che, tra l’altro, porta a escludere che tanto la «Giuditta» di Intesa Sanpaolo quanto quella di Tolosa possano essere attribuite al fiammingo. È sufficiente saper guardare e non fissare lo sguardo sui soli documenti, che comunque si devono saper interpretare. Dunque l’operazione di Brera, permettendo il confronto ravvicinato tra tali opere, ha un evidente senso culturale. Senza contare che la mostra si pone all’interno del riallestimento delle sale del Seicento, che ha, tra l’altro, il merito di aver restituito visibilità e dignità alla «Cena in Emmaus».