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Cosmico, dinamico, magnetico

Al Mart un’ampia retrospettiva di Eliseo Mattiacci

È nella terza dimensione che il Futurismo ha lasciato la sua impronta più duratura: l’energia attiva come soggetto creativo dell’opera, il dinamismo e il divenire sarebbero stati temi ripresi dall’Arte povera e dintorni. Sono, questi ultimi, ambienti che Eliseo Mattiacci (Cagli, Pesaro, 1940) frequentò in gioventù, dopo il trasferimento a Roma, quando entro in contatto con Kounellis, Mochetti e Pino Pascali, l’amico con il quale condivideva la passione per la velocità. Lo scultore marchigiano, tuttavia, preferì mantenersi libero dall’inclusione in gruppi o movimenti; un’indipendenza che, come spesso accade, pagò a un certo prezzo.

Dal 3 dicembre al 12 marzo a Mattiacci è dedicata al Mart-Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto una retrospettiva curata da Gianfranco Maraniello, direttore del museo. Si tratta di un percorso completo attraverso le varie fasi di produzione di Mattiacci, a partire da un’opera come «Locomotiva», realizzata nello stesso anno, il 1965, di «Parafulmine, attirafulmine, neutro»: il movimento rotatorio, l’uso di materiali industriali, la ricerca di una spazialità esterna all’opera, anche attraverso il coinvolgimento di eventi atmosferici, resteranno motivi ricorrenti in tutta la sua carriera.

La mostra include altre opere storiche, come «Cultura mummificata» e «Tavole degli alfabeti primari», esposte alla Biennale di Venezia del 1972; il linguaggio e la comunicazione, in questo caso, si fanno strada tra i temi toccati da Mattiacci: la prima opera è costituita da un accumulo di libri fusi in alluminio e dunque non più consultabili; la seconda è composta da dieci stele in alluminio e antimonio recanti ciascuna un diverso alfabeto. Tensioni ed equilibri ricorrono nelle sue sculture-installazioni (ma anche nella pratica performativa dei primi anni): lo si riscontra in «Motociclista», laddove il veicolo a due ruote è posto su una trave collocata su due cumuli di mattoni; oppure in «Esplorazione magnetica»  (1988), composta da dischi in metallo e magneti, a comporre una specie di doppio veicolo.

Il fatto che l’artista abbia iniziato a operare nel periodo delle prime grandi esplorazioni spaziali costituisce una sorta di indelebile imprinting. Il dialogo con il cosmo e con il movimento astrale è manifesto sin dalle prime opere. «Rapporto con il mondo» (1969) è una superficie circolare in vetro concepita come la circonferenza de «L’uomo vitruviano» di Leonardo, sulla quale è incisa una mappa lunare i cui punti principali sono collegati da un metro snodabile.

Dello stesso tenore, e di analoga forma e materiale, è «Toccare il mondo con le proprie mani», con incisi i quattro punti cardinali con i calchi delle mani dell’autore. Sono temi che permangono anche nella produzione più tarda, come nella grande «Piattaforma esplorativa» (2008), passerella poligonale dotata di tre telescopi, ma anche in «Porta della luna» (1992-93) oppure, in chiave allegorica e in omaggio al Rinascimento marchigiano, in «Carro solare del Montefeltro» (1986). Il rapporto con lo spazio e la sua immensità viene colto anche attraverso le onde sonore: quelle che si propagano dalla grande scultura «Colpo di gong» (1992) e che testimoniano delle molteplici modalità attraverso le quali si esprime questo artista irriducibile a qualsiasi classificazione. In catalogo, testi del curatore, di Tommaso Trini e di Daniela Lancioni, quest’ultimo concepito come utilissima guida alla mostra.
 

Redazione GdA, 02 dicembre 2016 | © Riproduzione riservata

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