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La mostra di Chiharu Shiota al Museum Haus Konstruktiv per lo Zürich Art Weekend

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La mostra di Chiharu Shiota al Museum Haus Konstruktiv per lo Zürich Art Weekend

Uno Zürich Art Weekend lungo tutta l’estate

Si è svolto prima di Art Basel il programma zurighese dedicato all’arte contemporanea: 120 artisti, 130 eventi, 73 sedi, più di 80 mostre. E c’è tanto ancora da vedere

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Jenny Dogliani

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Cuore finanziario internazionale con eleganti architetture storiche e moderniste, centro propulsore di numerose avanguardie che dal secolo scorso trovano qui importanti sviluppi, luogo di innovativi modelli residenziali e sociali immersi nel verde propagatisi sulle sponde dei fiumi e del lago, laboratorio di trasformazioni urbanistiche e culturali che hanno fatto di ex quartieri industriali e operai zone di arte, cultura e tendenza. Zurigo, la più grande metropoli svizzera, è una città dallo spiccato carattere e dalle tante anime, confluite in un unico appuntamento capace di racchiuderle tutte, lo Zürich Art Weekend, fondato e diretto da Charlotte Von Stotzingen. Un evento dalla portata eccezionale: più di 80 mostre, 120 artisti internazionali, 130 eventi dal vivo e 73 sedi coinvolte in 3 giorni di programmazione praticamente non stop. La sesta edizione si è svolta da venerdì 9 a domenica 11 giugno, quartier generale il Löwenbräukunst, un dinamico polo artistico inaugurato nel 1996, quando la Kunsthalle, il Migros Museum für Gegenwartskunst, Hauser & Wirth e alcune altre gallerie si trasferirono nell’ex birrificio Lowebrau in Limmatstrasse, a Zurich West, ex quartiere industriale allora ancora periferico, ma già fucina della giovane sottocultura. All’esterno il Löwenbräukunst è un imponente edificio industriale in mattoni rossi, alle sue spalle moderni grattacieli e il fiume Linmat. All’interno è un avveniristico spazio di co-working artistico, con proposte di altissimo livello.
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Tre le mostre (fino al 17 settembre) che qui presenta Luma Westbau (spazio della Luma Foundation istituita nel 2004 dalla collezionista e mecenate svizzera Maja Hoffmann). «Slow Show Installation» di Dimitri Chamblas ripropone una performance realizzata nel 2018 dal 49enne artista e coreografo americano con i ballerini del California Institute of the Arts di Los Angeles: gigantesche proiezioni a parete sono visibili in una stanza buia, i lentissimi e impercettibili movimenti dei performer, legati a stati di trance, telepatia, emozioni inconsce, manifestano una forma di stiramento temporale che lo spettatore sperimenta in prima persone, poiché è costretto a camminare su un pavimento con piccoli e voluti dislivelli che non si possono vedere e che obbligano a procedere con lentezza e cautela, tastando il suolo ad ogni passo.
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Ancora Luma Westbau propone «SloPEX» (2022) di Arthur Jafa (Mississipi, 1960), artista, regista e filmmaker tra i più influenti della scena contemporanea. È un video di 105 minuti nel quale si susseguono fotografie in bianco e nero accompagnate da una musica techno di Robert Hood, un loop musicale che amplifica la sincopatica associazioni di una vastissima quantità di immagini più o meno crude e violente tratte dalla storia, dalla cronaca e dal costume degli Stati Uniti: motori, virus, omicidi, bambini che giocano si susseguono come il ticchettio di un orologio cosmico con accostamenti disturbanti, contrastanti e insoddisfacenti ad alto tasso ipnotico, l’effetto ricercato è quello della dissonanza e disarmonia della musica nera. Ha parlato lui stesso del suo lavoro in una gremitissima conversazione con Hans Ulrich Obrist, il noto critico e storico dell’arte zurighese, direttore delle Serpentine Galleries a Londra, l’uomo più potente dell’arte contemporanea secondo «Art Review» (2016). A lui Luma Westbau rende omaggio nello Schwarzescafé dell’edificio con il primo capitolo della serie «Archivio Hans Ulrich Obrist», con materiale audiovisivo, appunti, disegni e manifesti legati al suo mentore: il poeta e filosofo Edouard Glissant.
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Un altro pilastro del Löwenbräukunst è Hauser & Wirth, la galleria d’arte contemporanea fondata in città nel 1992 che oggi conta 18 sedi in tre continenti, tre a Zurigo, gli artisti e i fondi rappresentati fanno impallidire non pochi musei, John Chamberlein, Arshile Gorky, Louise Bourgeois, Philip Guston, Fausto Melotti e poi, solo per citarne alcuni, artisti come Subdoh Gupta, Zeng Fanzhi e la svizzera Pippilotti Rist (assolutamente da vedere la sua installazione ambientale nella Kunsthaus, il più grande museo svizzero con i suoi quasi 39mila metri quadrati, grazie al nuovo edificio di David Chipperfield, con circa 4mila dipinti e sculture e 95mila stampe e disegni dal XIII secolo a oggi, mille opere in esposizione permanente dall’arte antica all’Impressionismo alle avanguardie del primo e secondo Novecento).

Due le monografiche che Hauser & Wirth propone al Löwenbräukunst fino al 16 settembre, una è dedicata a Cindy Sherman, con una nuova serie di collage fotografici nei quali l’artista americana assembla diversi particolari del suo viso creando mostruosi personaggi memori della multiprospettiva cubista. L’immagine, nitida e ad altissima risoluzione, mette in luce una meravigliosa e profondamente umana mostruosità. La seconda monografica è dedicata a Roni Horn, con una suite di 33 recenti disegni corredati di citazioni, collage, fotografie, commenti e appunti legati a notizie ed eventi, attraverso cui l’artista newyorkese esplora l’identità e il lato oscuro che alberga in ciascuno di noi.
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Zurigo è una città accogliente e multietnica. In Svizzera nel 2022 si contavano oltre 2,2 milioni di residenti stranieri. Tra questi una delle comunità Tamil più importanti in Occidente, fuggita dallo Sri Lanka in seguito alla guerra del 1983-2009. A raccontarne la storia è Christopher Kulendran Thomas con una personale della Kunsthalle nel Löwenbräukunst fino al 10 settembre. L’artista londinese, originario Tamil, ha realizzato dipinti, video e installazioni partendo da un’unica domanda: «Come possiamo conoscere la realtà di un conflitto quando sono i vincitori a scriverne la storia?». Con i suoi lavori prova dunque a riscrivere la storia del movimento indipendentista Tamil, sconfitto nel 2009, e a riproporne la scena creativa cancellata dal nuovo Governo dell’isola. Tra le opere un’installazione immersiva e psichedelica composta specchi, due altissime sculture feticcio mascherate realizzate con abiti mimetici e un video generato da un algoritmo che simula una realtà alternativa ma vera, costringendoci a interrogarci su che cosa sia veramente reale.
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Il Migrosmuseum für Gegenwartskunst presenta nel Löwenbraunkünst fino al 17 settembre «Acts of Friendship», con opere della collezione scelte per interrogarsi sul concetto di amicizia, inteso come condizione di fiducia reciproca, attraverso cui ci supportiamo come individui, e come modalità di alleanza e solidarietà di gruppo, attraverso cui ci ribelliamo alle strutture sociali e politiche: l’amicizia, dunque, come capitale sociale. Due esempi, «Untitled (bon voyage monsieur Ackermann) 1995» di Rirkrit Titavanija (1961), artista tailandese, figlio di un diplomatico. L’opera esposta era stata realizzata per la Biennale di Lione del 1995, una vecchia Opel Commodore GS gialla, con un fornelletto e un tavolino da campeggio e alcuni monitor, è l’auto che utilizzò per raggiungere il museo sede dell’esposizione, un’opera incentrata sulle pratiche di relazione, nomadismo e mobilità attraverso cui si innescano modelli sociali non prevedibili. «Beautiful corner» (1999) è il progetto con cui Sabina Lang e Daniel Baumann hanno rivestito con una psichedelica moquette le pareti e il pavimento del bar del museo, creando un’atmosfera avvolgente appropriata alla conversazione, capace di innescare quella condizione di apertura verso l’altro e di abbassamento delle barriere difensive tipica dell’ipnosi, dell’amore e dell’amicizia. Al piano di sopra, «Close Watch from 2022» di Pilvi Takala, finlandese, classe 1981, con specchi che simulano monitor di sorveglianza e due giganteschi telefonini su cui scorrono delle chat tra le guardie e gli avventori di un centro commerciale di Helsinki, si interroga sulle possibili derive di un mondo ipertecnologico dove l’interfaccia digitale ha preso il posto dei bivacchi da campeggio.
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Ma il futuro non è che una scelta tra tante possibilità e uno dei tanti mondi possibili è quello proposto da Co-Habitations, un progetto collettivo di convivenza e resilienza urbana attraverso l’arte, con i contributi di numerosi artisti tra cui Violeta Burckhardt, Ishita Chakraborty, Maya Minder e moltissimi altri. «Come sarà la città tra 100 anni?», è questa la domanda da cui è nato il progetto. Tra i lavori realizzati, visibili nella Löwenbraunkünst la coltivazione di un microbiota, la combinazione di processi biologici a materiali industriali per rigenerare l’ambiente, per esempio attraverso la proliferazione di funghi e altri organismi, la produzione di energia a partire da elementi vegetali. «Tutti gli spazi verdi di Zurigo sono sovraffollati, ogni spazio verde deve essere raggiungibile a piedi in cinque minuti. Per riunire il maggior numero possibile di competenze, lavoriamo come collettivo. Co-Habitations è un progetto transdisciplinare di curatori, artisti, ecologisti, attivisti, architetti, visitatori, cui collaborano anche gli abitanti della città, le associazioni culturali. Il risultato è una rete di idee che vive anche dopo la fine del progetto», spiega Violeta Burckhardt in una talk tenuta per presentare un orto urbano e una cucina di comunità in un terreno ferroviario vicino alla Zollhaous.
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Questo progetto affonda le sue radici nella rivoluzione culturale che ha attraversato Zurigo negli anni Ottanta, di cui la Zollhaouse è un’emanazione. Costruita nel 2013 su un area di 5mila metri quadrati, all’angolo tra Langstrasse e Zollstrasse, vicino alla stazione centrale di Zurigo, è un edificio che offre spazi per vivere e per lavorare, culturali, vari servizi, e luoghi di incontro per la comunità, aree comuni progettate dai residenti, ha anche un bar e un teatro, è aperto a tutti e sperimenta vari modelli di coabitazione. Per esempio cucine comuni e appartamenti condivisi permettono agli anziani di non vivere soli.

Le prime case condivise sono apparse negli anni Ottanta, in una città dove c’erano sempre meno locali e luoghi per eventi che hanno spinto gli zurighesi a organizzarsi in modo spontaneo e informale. Anche il lago e i fiumi di Zurigo erano allora disciplinati rigorosamente, non si poteva camminare sull’erba (che oggi non viene tagliata per rispettarne l’eco-sistema), non ci si poteva sdraiare in costume da bagno nel parco. In quello stesso decennio i giovani hanno semplicemente cominciato a impossessarsi di queste strutture portando la rivoluzione culturale ad avere la meglio sul più rigido conservatorismo. Oggi, nelle calde giornate estive è più che normale vedere gli zurighesi di ogni età vivere il lago e i fiumi in ciabatte e costume da bagno, rilassandosi nelle tantissime strutture adibite, persino nella centralissima Bellevueplatz. Negli anni Ottanta si gettano anche le basi per una scena artistica più aperta, tollerante, provocatoria e sorprendente, con investimenti anche della Città, che iniziò a porre l’arte contemporanea al centro dell’industria culturale.
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Un altro magnifico esempio di questo nuovo approccio è la Shedalle,sulle rive del lago, nel parco della Rote Fabrik, setificio trasformato negli anni ’80 in un centro culturale, qui hanno suonato i Nirvana e i Red Hot Chilli Peppers. Oggi è un frequentato spazio per l’arte contemporanea svizzera e internazionale, con un focus sugli sviluppi socio-politici, sul cambiamento sociale, tecnologico ed ecologico. Per lo Zurich Art Weekend la Shedhalle propone (fino al 6 agosto), tra gli altri, lavori e performance di Angela Goh, suo il film in nove parti «The Concert» (2022), in cui diversi personaggi si relazionano a un unico e misterioso cerchio di vetro trasparente che assume diverse funzioni e significati, da altalena a oggetto rituale, a elemento corografico, proiettandoci in un mondo legato al sogno e alla memoria.
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Dalla passerella sul Lago di Zurigo che conduce alla Shedalle si possono scorgere i tantissimi edifici disseminatinel verde sulle sponde lacustri, lo stile predominante è il Neues Bauen, con architetture razionali e funzionali . Il massimo esempio di Neues bauen elvetico è il Pavillon Le Corbusier, ultima creazione del celebre architetto svizzero-francese, nonché l’unica da lui realizzata in vetro e acciaio, fu completata nel 1967 sulle rive del lago commissionata da Heidi Weber: dal 2019 è un museo pubblico gestito dal Museum für Gestaltung Zürich per conto della Città di Zurigo. Con questo geometrico edificio colorato e modulare in riva al lago, Le Corbusier porta a compimento la sintesi tra architettura, vita e arte, seguendo il sistema Modulor, una scala di proporzioni che aveva sviluppato basandosi sulle misure dell’uomo e la sezione aurea. Un luogo davvero speciale vicino al quale gli zurighesi amano stendere il proprio asciugamano per goderne la vista e l’atmosfera tra un bagno e l’altro.
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Legato alla medesima corrente di modernismo e alle sue relazioni con la contemporaneità è il Museum Haus Konstruktiv, dedicato all’arte costruttivista-concreta e concettuale sviluppata in Svizzera dai concretisti zurighesi negli anni ’30-’50, tra i numi tutelari Max Bill, Richard Paul Lohse, Camille Graeser e Verena Loewensberg. Due le mostre fino al 10 settembre, una è dedicata alll’artista napoletano Salvatore Emblema, con opere dal 1959 agli anni 2000, l’altra è dedicata a Chiharu Shiota (1972), artista giapponese, originario di Osaka. Dopo la diagnosi di cancro e la chemioterapia, ha realizzato una serie di installazioni in vetro, filo e altri materiali e acquerelli sulla fragilità del corpo e la natura dell’anima. I fili grovigli di rossi con i quali ricama e realizza i suoi lavori parlano di trasformazione, di vecchie cellule che muoiono e nuove cellule che nascono a ogni respiro della vita. «La morte non è una limitazione della nostra esistenza o della nostra memoria, ma una parte del ciclo della vita, un nuovo stato dell’essere», spiega l’artista. Da vedere nel museo anche la Rockefeller Dining Room progettata nel 1963-64 da Fritz Glarner per il magnate americano secondo i canoni dell’arte costruttivista-concreta, donata al museo una volta dismessa: è uno dei pezzi centrali della collezione ed è disponibile anche per eventi.
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Per esperire la bucolica Zurigo ottocentesca, sulla verdeggiante collina vista lago con parco neoclassico, basta recarsi al Ritberg Museum, che custodisce un’imponente collezione di arte non occidentale, conservata in un complesso di tre ville ottocentesche, dove Richard Wagner compose Tristan und Isolde, più un edificio sotterraneo del XXI secolo rivestito dallo Smeraldo, un padiglione vetrato di Alfred Grazioli e Adolf Krischanitz. Fino al 17 settembre vi è allestita la mostra «Look Closer», con oggetti raccolti in 14 viaggi dagli anni trenta agli anni Settanta dall’antropologo e collezionista d’arte Hans Himmelheber (1908-2003), con un approccio innovativo spostò per la prima volta l’attenzione all’aspetto poetico, tematico ed estetico dell’arte africana, che persino gli artisti di avanguardia consideravano solo per forme e colori. Il museo è attivo nelle politiche di restituzione post colonialiste, ma le restituzioni che il museo si propone di compiere non sono solo materiali, sono anche culturali, nella stessa mostra, per esempio, quattro artisti contemporanei africani, Désiré Amani, Michèle Magema, Obou Gbais e David Shongo, sono stati invitati a realizzare ciascuno un’opera ispirata e legata all’Archivio Himmelheber.

E al di là dei circuiti più e meno istituzionali, infine, Zurigo mantiene ancora oggi una scena undergound che merita attenzione, una parte del programma dello Zurich Art Weekend è stato dedicato agli spazi off, una cinquantina. Molti sono nel Kreis 4, vicino a Langstrasse, ex quartiere a luci rosse un tempo frequentato da tossicodipendenti e prostitute, dove Harald Naegeli (1939), il leggendario «sprayer di Zurigo», negli anni Settanta disegnava sui muri di figure eteree e stilizzate (fu anche arrestato, oggi i suoi lavori sono nella collezione della Kunsthaus). Oggi il Kreis 4 è animato da una vivace scena artistica, uno per tutti, nello Stiftung BINZ39 fino all’8 luglio si può ammirare la mostra del collettivo Young Boy Dancing Group, frutto di una residenza di due anni. Le loro opere, quadri monocromatici realizzati con collage di jeans, biancheria e stivali di pelle, si legano sia al turbolento passato di questo quartiere sia all’estetica costruttivista e post-strutturalista della città.
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Un’opera del collettivo Young Boy Dancing Group

Performance di Désiré Amani al al Ritberg Museum

Interni del Pavillon Le Corbousier con zurighesi nel parco

Performance di Kris Lemasalu alla Shedalle

Murales nel quartiere della Shedalle

Il progetto Co-Habitans al Löwenbräukunst

Il Parco della Rote Fabrik

I grattacieli alle spalle del Löwenbräukunst

Cindy Sherman ( Hauser & Wirth) al Löwenbräukunst

Jenny Dogliani, 15 giugno 2023 | © Riproduzione riservata

Uno Zürich Art Weekend lungo tutta l’estate | Jenny Dogliani

Uno Zürich Art Weekend lungo tutta l’estate | Jenny Dogliani