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Malick Sidibé, «Aragon club». © Malick Sidibé.

Courtesy Galerie Magnin, Paris

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Malick Sidibé, «Aragon club». © Malick Sidibé.

Courtesy Galerie Magnin, Paris

Tutti i colori del Wax

Emblema della cultura africana, questo tessuto di cotone è nato nel XIX secolo da una vicenda condivisa tra Europa, Africa e Asia. La storia di un «rebus visivo» tra antropologia, moda, arte contemporanea e design                

Bérénice Geoffroy Schneiter

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L’8 ottobre 2011 Anna Wintour, la famosa direttrice di «Vogue America», alla sfilata di Louis Vuitton sfoggiava un trench Burberry in wax. Chi avrebbe mai pensato, solo qualche decennio fa, che questo tessuto di cotone, il cui motivo grafico e le cui combinazioni cromatiche sembravano sino ad allora inseparabili dal continente africano, potesse sedurre questa sacerdotessa della moda occidentale? All’alba del XXI secolo, è evidente che il wax è ovunque, non solo nelle strade di Dakar, Abidjan e Bamako, ma anche sulle riviste di arredamento e nelle gallerie d’arte contemporanea di Londra, Parigi o New York. Eppure, nulla è più complesso e sconosciuto della storia di questo tessuto diventato il simbolo di un’africanità grazie alla sua popolarità sia in Africa sia tra la diaspora e gli stilisti. «Che cosa si nasconde dietro questa evidenza visiva?», si chiede Manuel Valentin, responsabile delle collezioni di antropologia culturale del Musée de l’Homme di Parigi e uno dei curatori di un’appassionante mostra, aperta in quella sede fino al 7 settembre

Il visitatore sarà quindi senza dubbio sorpreso di apprendere che il wax (il cui nome deriva dal termine inglese che significa «cera») non è nato in Africa, ma nel continente asiatico, e più precisamente in Indonesia. Fu proprio lì che alcuni imprenditori olandesi cercarono di riprodurre a basso costo i tradizionali batik per la popolazione locale. Ironia della sorte, sarà un’altra clientela a essere sedotta da questi tessuti economici dai motivi invasivi. 

All’inizio del XIX secolo, i numerosi conflitti che sconvolsero le Indie orientali olandesi spinsero infatti gli amministratori dei Paesi Bassi a reclutare ausiliari sulle coste dell’Africa occidentale. Arruolarono, tra gli altri, guerrieri ashanti per mandarli a combattere sulle isole di Giava e nel Borneo. Una volta tornati nel loro Paese, la Costa d’Oro (l’attuale Ghana), questi soldati portarono con sé copie di batik indonesiani, il cui design conquistò immediatamente la popolazione locale. Gli europei decisero quindi di riorientare la loro produzione verso le colonie dell’Africa occidentale, inondando i mercati di questi tessuti sgargianti, la cui gamma di colori e grafica, nati nelle fabbriche inglesi e olandesi, si adattarono sempre più ai gusti di questa nuova clientela. «A poco a poco i motivi si allontanarono dai modelli indonesiani, come quello chiamato “Le scarpe del re”. Conosciuto fin dal XIX secolo, questo emblema del potere si democratizza al punto da diventare uno dei più popolari», spiega Manuel Valentin.

Monsengo Shula, «Bouleversement du monde». Collezione F. et H. Seydoux. © G. Benoit

Uno dei maggiori meriti della mostra è proprio quello di aiutare il visitatore a decifrare i messaggi criptati che si celano dietro queste grafiche sgargianti, che il nostro occhio occidentale tenderebbe a giudicare puramente decorative. Attingendo al repertorio della fauna e della flora, agli oggetti della vita quotidiana e ai grandi eventi sociali, questi «rebus visivi» trasmettono insegnamenti e valori morali che sottolineano l’appartenenza alla comunità. 

Una mano punteggiata di monete e circondata da dita mozzate, ad esempio, è associata al detto: «L’unione fa la forza», e significa che è meglio lavorare insieme per avere successo. Un ventilatore elettrico, che permette di rinfrescare le abitazioni allontanando le zanzare, è stato a lungo appannaggio di un’élite. Il suo motivo su un tessuto wax indica in chi lo indossa una certa agiatezza sociale. Il motivo «Occhio della mia rivale» esprime la gelosia e le tensioni nella sfera coniugale, in particolare tra le mogli.

«Il pagne esprime ciò che la bocca non può dire liberamente», spiega Valentin. Al contrario, il motivo di una gallina circondata dai suoi pulcini richiama l’unità del nucleo familiare e sottolinea il ruolo essenziale delle donne nella costruzione e nel benessere della famiglia. Vero e proprio specchio della società, i wax non sono esenti da allusioni sessuali, come il motivo chiamato «Tu esci, io esco», che evoca la possibilità per la moglie tradita di volare via dalla sua gabbia per punire il marito infedele. Indossare un wax con il motivo «Marito capace» (labbra che mostrano un ampio sorriso) è anche un modo per proclamare agli occhi di tutti che il proprio matrimonio è solido, e allo stesso tempo un avvertimento lanciato alle rivali che potrebbero minacciarlo.

Il motivo «La borsa di Michelle Obama» (che farebbe la gioia di molti stilisti) è un vivace omaggio alla moglie del 44mo presidente, il primo afroamericano, degli Stati Uniti. Molto più di un semplice prodotto di consumo, il wax è una lingua identitaria, un simbolo di appartenenza e un vettore di emancipazione. La mostra pone quindi l’accento sul ruolo svolto dalle «Nana Benz», influenti donne d’affari che controllarono gran parte del commercio del wax in Togo dal 1960 agli anni Novanta.

Ricche, potenti e vicine alla politica, parteciparono pienamente alla riappropriazione africana di questo tessuto in qualità di acquirenti, divulgatrici e distributrici. Ora è il turno degli artisti di stravolgere i codici tradizionali del wax per reinventarli meglio. A giudicare dalle maschere finte dell’artista beninese Romuald Hazoumé, le creazioni dello stilista maliano Lamine Badian Kouyaté (il fondatore del marchio Xuly. Bët), o ancora i cliché pop del fotografo senegalese Victor Omar Diop, l’epopea di questo tessuto di cotone sembra ben lungi dall’essere finita.

Omar Victor Diop, «Khady» dalla serie «Studio des vanités». © Omar Victor Diop. Courtesy of Galerie Magnin-A, Paris

Bérénice Geoffroy Schneiter, 18 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Tutti i colori del Wax | Bérénice Geoffroy Schneiter

Tutti i colori del Wax | Bérénice Geoffroy Schneiter