Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoliSe dici asfaltare, non pensi certo a Venezia, e non associ nemmeno il materiale a un’opera d’arte. Magari pensi al senso figurato del verbo, quando si intende sopraffare o annientare. Ma non è questo ciò che ha cercato Tatiana Trouvé osando asfaltare il pavimento in marmo intarsiato del grande atrio di Palazzo Grassi. In una città dove l’acqua è onnipresente, l’idea di ricorrere all’asfalto, il materiale sotto il quale (non) siamo abituati a pensare l’acqua che scorre sotto le nostre vite sintetiche di cittadini, è una coraggiosa scelta controcorrente. Portare in questo contesto l’asfalto stride e ha la forza di ribaltare le percezioni, di capovolgere il punto di vista: è l’acqua, e non l’asfalto, ciò a cui ci invita a pensare Trouvé.
Nata a Cosenza nel 1968 e cresciuta a Dakar, in Senegal, ha seguito poi un percorso di formazione a Nizza, nei Paesi Bassi e infine a Parigi. Carta bianca dal suo collezionista, François Pinault, e due anni di lavoro per costruire questa personale dal titolo «La strana vita delle cose», con la maggior parte delle opere concepite nel dialogo con gli spazi di Palazzo Grassi dove la mostra resta visitabile fino al 4 gennaio 2026. Suggerire l’acqua a partire dall’asfalto, costellandolo (una costellazione infatti appare «Hors-sol» se osservata dal piano superiore) di tombini, piccoli e grandi, visti in varie città del mondo e dei quali Trouvé ha realizzato dei calchi, è il mezzo usato dunque dall’artista per indurci a guardare al di là della superficie, a pensare alla vita segreta che scorre sotto, dietro, dentro le cose solo apparentemente inanimate, come ha spiegato Caroline Bourgeois, conservatrice senior alla Pinault Collection e curatrice della mostra insieme a James Lingwood con la stessa artista. Trouvé ha spiegato come il tema dell’acqua, che sarà centrale anche al Padiglione Italia della 19ma Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, un elemento che non si vede mai, sia stato il tema attorno a cui ha sviluppato la sua mostra in una città che dell’acqua e nell’acqua vive e che l’acqua teme. Una mostra concepita come «un viaggio nel territorio di Tatiana Trouvé, ha aggiunto Lingwood, sospeso tra il mondo mentale e quello fisico, pervaso di oggetti che hanno una vita labile nel mondo e che si caricano di ricordi del passato di ognuno di noi che li osserva». Al piano di sopra un imponente insieme occupa il salone centrale: le fusioni che ricalcano rami e radici dalle forme ritorte emanano un che di ostile mentre compongono dei cancelli e ostacolano il passaggio («Navigation Gates», 2024), non lasciando presagire niente di buono. I due grandi calchi in gesso che stanno al di là, due parallelepipedi come muri che dividono («Storia notturna, 30 giugno 2023», 2024), confermano la sensazione con la loro forza evocativa: sono ispirati ai moti di protesta avvenuti a Montreuil, la città francese dove Trouvé risiede, disordini scoppiati in seguito al colpo sparato dalla polizia contro un ragazzo di diciassette anni di origine nordafricana.
Ma anche senza conoscere il nesso preciso, quei gessi parlano di disordine in sé, e di gesti violenti. Lo sparo certo, ma anche quelli che hanno dato luogo all’incendio di cassonetti. Un disordine e una violenza che emanano dai calchi di oggetti bruciati o spaccati inseriti in quei volumi massicci. Un lavoro che parla del tempo attuale, delle sue inquietudini, delle sue turbolenze, delle sue fragilità, frutto della capacità metaforica e allusiva di un linguaggio che si basa sulla memoria e sul vissuto, rielaborati attraverso gli oggetti, in cui la figura umana è assente, ma, come l’acqua, la si respira ovunque. Una serie di lavori, costruiti come collane, raccontano città e luoghi del mondo che nella sua vita l’artista ha incontrato («Città», 2024). Sono piccoli insiemi composti da rifacimenti di objets trouvés, di memorie tattili, di significanti spinti oltre il loro significato letterale, ai quali occorre abbandonarsi senza pretendere di decifrare: un mozzicone di sigaretta non è semplicemente o necessariamente un mozzicone di sigaretta. «Nel corso degli anni ho preso l’abitudine di raccogliere oggetti, scarti e frammenti di cose che portano tracce del tempo legate a eventi accidentali, alterazioni o a utilizzi che testimonino il loro modo di esistere, racconta Trouvé nell’intervista che i curatori le rivolgono contenuta nel catalogo Marsilio che accompagna la mostra. Ho costituito una sorta di atlante di questi oggetti, che realizzo in materiali diversi (bronzo, metallo, pietra, cemento, gesso, gommapiuma) e con i quali convivo da anni. Possono cambiare identità non appena sono riprodotti in un materiale che li trasforma e li traghetta verso l’ecosistema del mio lavoro, alimentando nuove narrazioni in cui si adattano gli uni agli altri. Li ritroviamo nelle sculture o nelle installazioni, ma possono anche restare per anni sugli scaffali del mio studio, fino a diventarne parte. Come se avessero una sorta di vita propria». Gli stessi oggetti ritornano anche nelle serie di disegni al piano superiore che risuonano con le sculture dei piani di sotto, come idee generatrici o come sviluppi diversi e bidimensionali di uno stesso modo di operare. Il concetto di scultura è talmente espansivo che si allarga a un’intera stanza piena di tante sculture, come nel caso de «L’inventario», un’opera che, per la data che porta, 2003-24, non solo rievoca lo studio dell’artista e il luogo delle sue memorie stratificate di oggetti, ma coincide in qualche modo con esso, con il suo sviluppo nel tempo, nella traslazione in opera di ogni singolo oggetto scelto per far parte dell’opera-insieme.
A volte Trouvé ci chiede di diventare delle piccole Alice, costretti a ridimensionare e modificare il nostro punto di vista per andare a guardare, chinandoci, l’allestimento di una sala da una piccola porticina in vetro, costruita ad arte in questo viaggio-gioco a cui l’artista ci invita, in cui ci guida.

Tatiana Trouvé, «Hors-sol», 2025, Collection of the artist © Tatiana Trouvé, by Siae 2025. Installazione dell’opera nella mostra «Tatiana Trouvé. The strange Life of Things», 2025, Venezia, Palazzo Grassi. Photo: Marco Cappelletti and Giuseppe Miotto / Marco Cappelletti Studio. © Palazzo Grassi, Pinault Collection