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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliNon è la prima e non sarà l’ultima volta che l’arte contemporanea trova collocazione in uno spazio dedicato al culto religioso. Ma ogni volta che questo accade ci si rende conto che questo tipo di allestimenti offre i migliori risultati quando si tratta di arte aniconica. Lo si è visto a Milano con la Chiesa Rossa in cui ha lavorato Dan Flavin, lo confermano le vetrate della Cattedrale di Colonia concepite da Gerhard Richter. Ma il caso di una «Fine di Dio» di Lucio Fontana collocata nella Cappella di Santa Maria Regina della Purità, nell’ex Conservatorio delle Orfane a Terra Murata sull’Isola di Procida, porta con sé ulteriori aspetti.
Si tratta di un’opera appartenente al ciclo realizzato da Fontana nel 1963-64, cui la galleria Tornabuoni Arte ha dedicato un eccellente approfondimento in occasione di Art Basel 2017 comprensivo di aggiornamenti storici, critici e documentari. In una lettera del 17 gennaio del 1963 a Enrico Crispolti, il futuro curatore (con Luca Massimo Barbero) del Catalogo generale dell’artista, quest’ultimo, dal suo studio di via Monforte a Milano, scriveva di «avere in incubazione una serie di quadri». «Niente di eccezionale», aggiungeva, ma intanto proponeva a Crispolti di recarsi a Milano per parlarne. E aveva già in mente di intitolarle «lafinedidio».
Di imponente formato ovale, quei dipinti monocromi aggrediti da lacerazioni rappresentarono una svolta nella sua ricerca e lui ne era ben conscio se ne volle includere alcuni esemplari, tra il ’63 e il ’64, in importanti mostre a Zurigo, Milano e Parigi, come hanno confermato i recenti studi. «Niente di eccezionale»? L’ironia era una delle doti di Fontana. E infatti in quegli ovali volle evocare «l’infinito, la cosa inconcepibile, la fine della figurazione, il principio del nulla».
Molto si è scritto sulla scelta di quell’anomalo formato per le 38 opere che compongono la serie; e ora, in virtù dell’attuale allestimento di una di esse nel contesto dello spazio sacro di Procida, non è possibile dimenticare che la simbologia dell’uovo è storicamente connessa all’iconografia mariana. Un «principio», ancora, che comincia con l’esplorazione di un infinito, con il «nulla» un alfa e un omega nel quale culmina il pensiero di Fontana legato al superamento dei limiti spaziali della pittura.
Con l’esposizione dal 2 al 5 settembre di questo esemplare verde mela culmina anche la presentazione di altre 45 opere con le quali Tornabuoni Arte partecipa a questa tappa isolana, curata da Vincenzo de Bellis, di «Panorama», il ciclo espositivo itinerante cui partecipa un selezionatissimo numero di gallerie italiane.

Lucio Fontana, «Concetto spaziale. La fine di Dio», 1963, installation view, Cappella di Santa Maria Regina della Purità, Procida. Courtesy Tornabuoni Art