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Roberta Bosco
Leggi i suoi articoliAl di là dei luoghi comuni sulla fratellanza tra Italia e Spagna, per quanto riguarda l’arte visiva le relazioni tra i due Paesi non sono particolarmente intense. Per questo suscita uno speciale interesse «Constructoras de mundos muy parecidos al nuestro» (Costruttrici di mondi molto simili al nostro), la mostra che l’italiana Ludovica Carbotta (Torino, 1982) presenta dall’11 luglio al 2 novembre, nell’Espai 13 della Fundació Miró di Barcellona. La rassegna, che fa parte del ciclo «Cómo desde aqui» (Come da qui), curato da Carolina Jiménez, propone uno sguardo critico e ludico allo stesso tempo sulla città, intesa come spazio di mediazione e frizione, d’incontro e scontro. «La mia è una rappresentazione dello spazio pubblico abitata da oggetti disturbanti, macerie, residui di storie parallele ed elementi di proteste passate e presenti, dalla guerra di Iraq al genocidio del popolo palestinese», spiega l’artista, che vive a Barcellona ormai da otto anni ed è rappresentata da Bombon projects, una delle più brillanti gallerie cittadine attive anche sulla scena internazionale.
Per l’Espai 13, la sala sotterranea che la Fondazione dedica agli artisti emergenti e ai progetti più sperimentali, Carbotta costruisce un paesaggio di modelli e strutture riprodotte in resina e ceramica, alterandone le dimensioni. Il sacchetto di patatine fritte, riprodotto in resina 20 volte più grande della realtà, giace sul pavimento abbandonato. Vicino c’è un’unghia enorme e scatoloni di legno che lasciano immaginare le sculture che vi sono contenute, così un’orecchia evoca una testa e un piede lascia intuire una Venere inginocchiata. Il cambio di scala altera il significato e rende irriconoscibili semplici oggetti quotidiani. «Le casse di legno alludono a montaggi e smontaggi, a costruzioni e trasformazioni, ma anche a strutture di protezione e di gioco, come una sorta di playground mutevole, ambivalente e in continua trasformazione», continua Ludovica Carbotta, che in autunno organizzerà una serie di workshop con bambini, invitati a intervenire sulle strutture e gli elementi in legno con l’aiuto del team dell’artista.
I bambini modificheranno e riconfigureranno le opere in sala con l’obiettivo di renderle portatili in modo che possano facilmente uscire dalla Fondazione. Il risultato di questo lavoro di creazione collettiva si materializzerà in un parco infantile sulla collina di Montjuïc, probabilmente proprio nel Giardino dei Cipressi, finora inaccessibile al pubblico, che la Fondazione ha deciso di aprire in quel periodo, come previsto dal progetto originale dell’architetto Josep Lluis Sert.
«L’artista interviene direttamente nell’architettura dell’Espai 13 con strutture in legno, casseforme e materiali di recupero, nell’ambito di un processo attivo di autocostruzione, che invita a mettere in discussione nozioni come protezione, gioco, disordine e utilità. Nelle sue opere Carbotta difende il diritto alla città», spiega la curatrice circondata dal bianco straniante, che evoca la tela del pittore e predomina nell’allestimento, interrotto solo da alcuni punti di colore rosso e blu in omaggio a Miró e dal legno grezzo. Nello spazio il disordine richiama la protesta ed è terreno fertile per la creatività. «Di fronte a una città che pulisce, organizza ed espelle, le opere di Ludovica Carbotta propongono una riappropriazione performativa dello spazio pubblico, aprendo un dialogo tra infanzia, arte e cittadinanza. La mostra diventa così un luogo per immaginare altri usi, altre città, altri futuri», conclude Carolina Jiménez.

Una veduta della mostra «Constructoras de mundos muy parecidos al nuestro» alla Fundació Miró di Barcellona