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Una veduta dell’installazione «Number 360» di Leonardo Drew allo Yorkshire Sculpture Park, 2023

Courtesy of the artist. Photo © Jonty Wild

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Una veduta dell’installazione «Number 360» di Leonardo Drew allo Yorkshire Sculpture Park, 2023

Courtesy of the artist. Photo © Jonty Wild

Leonardo Drew: «Nel mio lavoro c’è la nostra storia»

La South London Gallery ospita la prima personale nella capitale inglese dell’artista afroamericano, le cui opere sembrano voler dare libero sfogo al marciume che giace sotto la superficie della società contemporanea, rivelandone la vera natura

C’è un semplice invito, un’espressione che ha dell’aforistico, o per dirla all’inglese, una «call to action», alla base di «Ubiquity II», prima personale londinese dedicata alla produzione dell’afroamericano Leonardo Drew (Tallahassee, Florida, 1961), allestita alla South London Gallery dal 30 maggio al 7 settembre: «Guardami bene!». È con queste due parole che l’artista concettuale, conosciuto per le sue installazioni dalle proporzioni monumentali, metafore della dicotomia primordiale ordine-caos, ne riassume l’essenza durante uno scambio di email avvenuto a poche settimane dall’apertura della stessa mostra. Come nel resto di quella conversazione, sebbene avvenuta esclusivamente per iscritto, il suo tono è evocativo; quasi profetico. Lo stesso si può dire della scala in continua espansione delle sue opere, le quali, ottenute attraverso ripetuti processi artificiali di ossidazione, carbonizzazione e decadimento delle materie prime raccolte in esse, sembrano voler dare libero sfogo al marciume che giace sotto la superficie curata, razionale e pulita della società contemporanea, dove tutto ha il suo posto, rivelandone la vera natura. Non è una coincidenza.

Cresciuto tra i blocchi popolari di Bridgeport, nel Connecticut, la vocazione artistica di Drew si manifesta già negli anni Settanta, quando a malapena adolescente inizia a interagire con i rottami della discarica dirimpetto alla sua casa, manovrandoli così da trasformarli in qualcosa di nuovo, oltre a cimentarsi nel disegno. Più che un semplice incontro, la sua scoperta dell’arte è un’illuminazione, tanto che a soli 13 anni le illustrazioni esibite nella sua primissima mostra colgono l’attenzione dei poteri alti delle case di produzione cinematografica Marvel e Dc Comics. Proprio riguardo a quei primi anni di attività, nel suo libro Existed (2009), Drew scrive: «Ricordo tutto, i gabbiani, gli odori estivi, gli incendi sotterranei che non si riuscivano a placare… E nel corso del tempo ho finito per considerare questo posto la “bocca di Dio”… L’inizio e la fine e di nuovo l’inizio. Ciò che mi è rimasto delle mie esplorazioni giovanili sono gli echi dell’evoluzione… vita, morte, rigenerazione». 

In occasione del suo approdo alla South London Gallery, dove i detriti di legno di «Ubiquity II» si impossesseranno dell’intera sala espositiva principale dell’istituzione britannica, abbiamo chiesto all’artista di ripercorrerne la storia.

Come ha costruito questa mostra?
Con questa personale alla South London Gallery, «Ubiquity II», o meglio i materiali assemblati in essa, raggiungono la loro sesta iterazione. Li riconfiguro di volta in volta in una composizione diversa in base al momento, all’architettura dell’istituzione che li ospita e al mio temperamento. Da ingressi dinamici a cappelle sacre, dal separarsi del Mar Rosso fino alle pareti gemelle della Slg, questi materiali hanno trovato sé stessi lungo il percorso.

Le sue installazioni non sono composte da oggetti «trovati», ma da materiali da lei acquistati che, a partire dall’interazione che ha con essi e dal modo in cui decide di combinarli, «maturano» nel tempo. Da dove nasce questa scelta?
C’è un potere intrinseco negli oggetti trovati. Questo deriva dal fatto che la vita vi è passata attraverso e tramite continui cicli di nascita, vita, morte e rigenerazione, ciascun oggetto riecheggia e si amplifica. C’è qualcosa di cosmico e spiritualmente immenso che avviene in questo processo, e io sento il bisogno di conoscere il «come» e il «perché» di tutto ciò. Dall’inizio alla fine, mi posiziono e allineo con esso, prendendo materiali acquistati in negozio e accompagnandoli attraverso le fasi dell’esistenza. In qualche modo, con la mia arte mi faccio meteo! In fin dei conti, non siamo separati da, né superiori alla natura. Ne siamo parte integrante. Siamo la natura della natura.

Quali sensazioni spera di poter suscitare nel pubblico con l’ennesima trasformazione di «Ubiquity II»? E che cosa possiamo aspettarci da lei in futuro?
Il titolo «Ubiquity II» rimanda all’opera madre di tutti i miei lavori, creata nel 1988 e intitolata «Ubiquity 8». «Ubiquity», che significa «essere ovunque», parla del «noi» collettivo. Trovo non ci sia parola migliore per riassumere e rappresentare i nostri vagabondaggi su questo pianeta. Le immagini di quest’opera, in particolare, parlano da sole. Il mio lavoro ha sempre funzionato come uno specchio. Mettiti di fronte ad esso e ti troverai. La tua storia, la nostra storia, è lì. Quanto al futuro, continuerò a tenere lo specchio… attraverso la prossima iterazione e tutte quelle a venire…

Una veduta dell’installazione «Number 427», 2024, di Leonardo Drew alla Galerie Lelong & Co., New York. Photo: Jon Cancro

Una veduta dell’installazione «Number 215», 2019, di Leonardo Drew alla Galerie Lelong & Co., New York. Photo: Jon Cancro

Gilda Bruno, 26 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Leonardo Drew: «Nel mio lavoro c’è la nostra storia» | Gilda Bruno

Leonardo Drew: «Nel mio lavoro c’è la nostra storia» | Gilda Bruno