Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Ritratto di Agrippina Minore proveniente da Ercolano ed eseguito probabilmente in occasione delle sue nozze con Claudio (49 d.C.) o del conferimento dell’appellativo di Augusta (50 d.C.)

© Foto Parco Archeologico di Pompei

Image

Ritratto di Agrippina Minore proveniente da Ercolano ed eseguito probabilmente in occasione delle sue nozze con Claudio (49 d.C.) o del conferimento dell’appellativo di Augusta (50 d.C.)

© Foto Parco Archeologico di Pompei

Le voci femminili di Pompei

Le ragioni della mostra allestita nella Palestra Grande degli scavi e dedicata alla vita privata e pubblica della donna nel comprensorio vesuviano in età romana. La curatrici Francesca Ghedini e Monica Salvadori accompagnano il lettore nella visita

La mostra inaugurata il 16 aprile nella Palestra Grande di Pompei (fino al 31 gennaio 2026) pone al centro la donna; non una singola donna, nota per aver calcato la scena del potere o per le sue capacità imprenditoriali, non una categoria specifica, come le evergeti o le meretrici, che da tempo hanno attirato l’attenzione degli studiosi, e nemmeno un aspetto specifico dell’universo femminile, come la bellezza, oppure i gioielli o le vesti, ma la donna come individuo, come parte di una società che non ha mai riconosciuto al genere femminile la pienezza dei diritti, ma che, allo stesso tempo, non ne poteva fare a meno.

E Pompei, una città cristallizzata in un momento drammatico della sua storia dall’immane catastrofe che la colpì, salvaguardandola però per i posteri, era il luogo ideale per confrontarsi con questo tema. Le donne di Pompei e del comprensorio vesuviano hanno infatti lasciato tracce indelebili del loro passaggio sulla terra, che lo sguardo dell’archeologo può far rivivere, restituendo voce a chi è stato per troppo tempo silente. E non è un caso che la mostra «Essere donna nell’antica Pompei» si ponga in ideale continuazione con «L’altra Pompei» (terminata il 6 gennaio, Ndr), dedicata agli humiliores, agli invisibili, il cui lavoro, spesso schiavile, sempre mal pagato, garantiva l’efficienza e la funzionalità della città. Sono proprio le donne ad accogliere il visitatore nel suggestivo ingresso alla mostra, giocato sulla penombra, dove su un grande schermo scorrono i nomi delle pompeiane, scelti fra le centinaia che iscrizioni e graffiti ci hanno restituito; nomi che appaiono e scompaiono, per ricordare la caducità della vita e l’ineluttabilità della morte.

Ci sono le rappresentanti delle famiglie più in vista di Pompei, che hanno lasciato traccia nel tessuto urbano, ci sono le liberte che hanno superato tutti i gradini della scala sociale, riuscendo a raggiungerne la vetta; ci sono poi coloro che si sono dedicate a professioni liberali come le ostetriche e le mediche, a professioni «culturali» come le attrici e le ballerine, ad attività gestionali come le ostesse o le venditrici. Ci sono infine le schiave e le prostitute, che sono ricordate dai graffiti dei muri, che riportano spesso anche la tipologia di prestazioni e i relativi costi.

Ma, accanto al lungo elenco, il visitatore trova anche i ritratti di alcune delle nostre protagoniste: non ritratti fisionomici, intesi nel senso moderno della definizione, bensì ritratti «tipologici», che differenziano i diversi volti femminili per acconciature, abbigliamento, attributi e gesti. Le sezioni successive della mostra seguono due filoni: la donna nella casa e la donna nella società. Per sviluppare queste tematiche ci siamo avvalse di tre categorie di documenti: gli oggetti, le immagini, gli spazi. Gli oggetti esposti sono i medesimi che sono stati toccati e usati dalle donne di Pompei fino agli ultimi giorni della loro vita: c’è la panoplia della bellezza (specchi, pettini, scatoline, ampolle per contenere creme, trucchi, profumi; e poi collane, orecchini, bracciali, anelli di ogni tipo); ci sono gli oggetti della cultura (stili e calamai) e quelli che fanno riferimento alla socialità (servizi da tavola in prezioso argento per i banchetti, ma anche pentole, brocche, tegami da cucina). Ogni oggetto è funzionale a tratteggiare aspetti del quotidiano femminile.

Una delle vetrine della mostra «Essere donna nell’antica Pompei»

Le immagini restituiscono momenti di vita vissuta in cui le donne sono impegnate in varie attività e si presentano atteggiate e abbigliate come erano nel loro quotidiano, consentendoci di analizzare nel dettaglio quelle vesti che le fonti descrivono con dovizia di particolari.

E infine ci sono gli spazi in cui le donne hanno vissuto, che a Pompei sono conservati nella loro consistenza monumentale. Non potendo esporli in mostra, abbiamo deciso di condurre il visitatore nei punti dell’area archeologica dove le nostre donne hanno vissuto: un monumento pubblico, una casa, una tomba, un termopolio, un textrinum. E per rendere viva la loro presenza negli spazi individuati, abbiamo suggerito delle brevi biografie: spunti di vita vissuta. 

Sono stati questi gli strumenti con cui abbiamo costruito, in un confronto quasi quotidiano con i colleghi del Parco Archeologico, un percorso che si dipana attraverso le diverse sezioni della mostra, dove ogni aspetto della vita delle donne è scandito dalle testimonianze materiali. Ecco allora che l’infanzia è illustrata con l’esposizione dei giochi dei bambini: una bambola, una marionetta o un affresco che mostra una fanciulla che tiene fra le braccia un volatile, restituendo consistenza a quella tradizione letteraria che racconta della predilezione femminile per la compagnia dei piccoli animali alati, dal passero di Lesbia al pappagallo di Corinna. 

Segue l’educazione, che alle fanciulle romane era impartita perlomeno fino a quando raggiungevano, troppo precocemente, l’età di convolare a nozze, è rappresentata da stili e calamai o da ritratti di giovani donne che mostrano con orgoglio la tavoletta su cui vergavano i loro messaggi o sono assorte nella lettura di un rotolo. E poi c’è il matrimonio, rappresentato da una suggestiva installazione che mostra la sposa mentre, accompagnata da due fanciulli con torce e dalla madre con fuso e conocchia, si avvia verso la casa del marito. La vita da matrona è sintetizzata dalle chiavi che le garantivano il ruolo di «padrona» dei beni domestici, e da affreschi che la ritraggono nel suo tempo libero, fra le cui attività spicca la pittura da cavalletto.

Una delle vetrine della mostra «Essere donna nell’antica Pompei»

Nella seconda parte, in cui si tratta della vita pubblica, ci siamo confrontate con alcune delle personalità di spicco della Pompei imperiale: Eumachia, che ha donato alla città il lussuoso edificio che si affaccia sul lato orientale del foro e ha costruito sibi et suis (per sé e la sua famiglia) la più lussuosa tomba di Pompei; Iulia Felix, che, dotata di non comuni capacità imprenditoriali, ha messo a reddito la sua vasta proprietà affittando un lussuoso impianto termale, botteghe e piccoli appartamenti al primo piano; Asellina, proprietaria di un «bar» alla moda, che approfittando della sua notorietà si è fatta promotrice della carriera politica di Lollio Fusco. E poi ci sono le sacerdotesse, scelte sempre fra le matrone di più alto livello sociale, che presiedevano alle cerimonie di culto in onore di Venere, patrona della città, e di Cerere, erede della greca Demetra.

Chiude la narrazione della vita delle donne della Pompei romana la sezione dedicata alla morte: la morte delle matrone, ricordate da splendide tombe, e delle povere schiave, contrassegnate talvolta da una semplice columella all’interno dei sepolcri dei padroni. Ma la morte a Pompei si presenta anche sotto forma dell’enorme tragedia che ha falciato ricchi e poveri senza distinzione di sesso e d’età, travolgendo la domina e la schiava, la sacerdotessa e le meretrice, la liberta arricchita e la fattucchiera, donne in fuga che spesso portavano con sé oggetti preziosi e piccoli gruzzoli di monete nella speranza di riuscire a salvarsi.

Se la vita delle donne di Pompei è stata interrotta dall’eruzione, la storia della città non è terminata in quel tragico giorno; è per questo motivo che il percorso della mostra prevede in chiusura uno sguardo sul contemporaneo, rappresentato da un lato da una selezione dei profili biografici delle archeologhe che hanno contribuito alla riscoperta delle antiche rovine, dall’altro dalle modalità con cui quel mondo perduto è stato interpretato e comunicato attraverso il cinema. I molteplici volti femminili proposti dal grande schermo accompagnano l’uscita dalla mostra e richiamano la pluralità di nomi di donne che hanno accolto il pubblico all’inizio di un percorso in cui le voci femminili risuonano in maniera potente.

«Essere donna nell’antica Pompei»,
a cura di Francesca Ghedini e Monica Salvadori e in collaborazione con le Università di Padova, Salerno e Verona, Pompei, Palestra grande degli scavi, 16 aprile 2025-31 gennaio 2026

Francesca Ghedini è professoressa emerita di Archeologia classica all’Università di Padova

Monica Salvadori è professoressa ordinaria di Archeologia classica e prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale all’Università di Padova

Francesca Ghedini e Monica Salvadori, 08 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Le voci femminili di Pompei | Francesca Ghedini e Monica Salvadori

Le voci femminili di Pompei | Francesca Ghedini e Monica Salvadori