Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Roberta Bosco
Leggi i suoi articoliIn catalano «guspira» significa «scintilla». Joan Miró (Barcellona, 1893-Palma di Maiorca, 1983) diceva che ogni opera sorge da una scintilla ispiratrice che normalmente era un oggetto trovato per caso, ma anche una fotografia o una semplice cartolina. La maggioranza di questi oggetti li conservava nei due studi e nella casa di Palma di Maiorca, dove trascorse gran parte della sua vita. Fino all’11 gennaio 2026 alcuni dei più significativi di questi oggetti si possono vedere accanto all’opera che hanno contribuito a creare nella mostra «La guspira màgica», nella Fondazione Miró di Palma. Si tratta della rassegna più importante delle quattro di «Paysage Miró», un ambizioso progetto promosso dalla Successione Miró, diretta dal nipote Joan Punyet Miró, e realizzato in collaborazione con il Museo Reina Sofía di Madrid, che ha generosamente prestato opere che viaggiano raramente, e le quattro istituzioni di Palma dedicate all’arte contemporanea: La Llotja, dove sono esposte le maestose sculture in bronzo, il Museo Es Baluard, dove si presentano i dipinti più radicali e sperimentali, Casal Solleric, dove si svelano le relazioni che l’artista stabilì tra pittura e scultura, e la Fundació Miró, dove si presenta il suo processo creativo attraverso i legami tra le «scintille» e le opere finali.
«Ognuna delle quattro istituzioni offre una propria prospettiva e tutte insieme compongono un paesaggio comune. Abbiamo ricevuto prestiti importanti sia dalla famiglia sia da musei come il Reina Sofía, che è stato particolarmente generoso, il Macba e la Fundació Miró di Barcellona, e ci siamo scambiati opere delle rispettive collezioni in modo da creare una narrazione che attraversa tutte le principali tematiche mironiane: la natura, il vocabolario, i segni, i luoghi, la lotta con e contro la pittura» spiega Antonia Maria Perelló, direttrice della Fundació Miró di Palma di Maiorca da poco più di un anno, promotrice del salto di qualità dell’istituzione, che da diversi anni viveva in una specie di narcosi, nonostante conservi i due straordinari studi che per volere di Miró vennero musealizzati alla sua morte senza toccare nulla e la straordinaria collezione di oggetti personali dell’artista, così come le opere di amici artisti del calibro di Kandinskij, Léger, Braque, Motherwell e Calder.
Perelló, che è tornata alla sua Maiorca natale dopo trent’anni a capo della collezione del Museo d’Arte Contemporanea di Barcellona (Macba), ha dato un nuovo impulso alla fondazione con un intenso calendario di attività, a partire dal nuovo e attraente programma di mostre. «Il percorso espositivo rivela il ruolo che l’objet trouvé e gli incontri inaspettati e casuali hanno avuto nella vita di Miró e spiega come abbia custodito e utilizzato tutti questi incontri, scoperte, immagini e stimoli per dare forma alla sua opera. I due studi di Miró, Son Abrines costruito con i disegni di Josep Lluis Sert e Son Boter, dove si conservano suoi graffiti che in autunno saranno oggetto di un importante restauro conservativo, costituiscono il suo paesaggio mentale, un’istantanea del suo processo creativo», continua Perelló, che ha riunito 38 dipinti e 250 oggetti, molti inediti per il pubblico, oltre a documenti e fotografie, che rivelano il Miró più intimo.
La Lotja rientra, dopo due anni, nel circuito espositivo di arte contemporanea di Palma di Maiorca, con «La força inicial» (sino al primo febbraio 2026), una straordinaria mostra delle sculture nere di Miró tra cui «Oiseau lunaire», che normalmente si espone nel patio dell’edificio Nouvel del Reina Sofía e che in quest’occasione si può vedere accanto a «Oiseau solaire», prestato dalla famiglia Miró. «L’allestimento di Ignasi Cristian ha collocato le sculture su piattaforme irregolari bianche che creano un interessante contrasto con il pavimento nero, di modo che le opere sembrano levitare, liberate dal peso del bronzo», sottolinea Antonia Perelló.
David Barro, direttore di Es Baluard da poco più di un anno e primo uomo a dirigerlo nei suoi 21 anni di vita, cura «Pintar entre les coses» (fino al 9 novembre), una rassegna che illustra come Miró ebbe sempre una visione rivoluzionaria della pittura e come, nonostante gli 80 anni compiuti, continuasse a sperimentare con nuovi gesti e formati. «Miró non improvvisava, ma sperimentava senza freni, metteva tutto in discussione e abbracciava l’incongruenza, l’apparentemente incompatibile. Per questo motivo le sue opere risultano sempre enigmatiche. Arrivò persino a bruciare e strappare alcune delle sue tele nella sua volontà di “assassinare la pittura”. Miró dichiarò sempre di sentirsi un po’ a disagio con le posizioni più comode di questa disciplina. Ecco perché confonde ed esagera lo spazio pittorico, a volte attraverso la violenza gestuale, altre volte attraverso enormi macchie e altre ancora attraverso la trasfigurazione dell’oggetto più prossimo», spiega nel testo curatoriale Barro che ha selezionato opere realizzate tra il 1916 e il 1978.
«Paysage Miró» si conclude con «El color i la seva ombra» (fino al 9 novembre) a Casal Solleric, una mostra che esplora il dialogo tra pittura e scultura nell’opera di Miró attraverso opere realizzate tra il 1960 e il 1981 e selezionate dal direttore del centro Fernando Gómez de la Cuesta.