Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Olga Scotto di Vettimo
Leggi i suoi articoli«These fragments I have shored against my ruins» recita il verso di T.S. Eliot, tratto dal poema The Waste Land (La terra desolata) che Santiago Cucullu (Buenos Aires, 1969) ha preso in prestito per farne il titolo della mostra personale organizzata dalla Galleria Umberto Di Marino e dal Museo Civico Gaetano Filangieri. Dall’8 maggio al 29 giugno le ceramiche dell’artista argentino sono esposte in dialogo con le preziose porcellane conservate nel museo fondato nel 1878 da Gaetano Filangieri principe di Satriano a Palazzo Como. Rara testimonianza di architettura rinascimentale a Napoli, il museo ottocentesco custodisce oltre 3mila oggetti, tra cui dipinti e sculture dal XVI al XIX secolo (molte testimonianze di pittura napoletana: Jusepe de Ribera, Luca Giordano, Andrea Vaccaro, Battistello Caracciolo e Mattia Preti), libri antichi e una ricca collezione di arte applicata (maioliche, porcellane, biscuit, avori, armi, armature, medaglie), di cui fa parte una raffinata selezione di porcellane provenienti da diverse manifatture europee, come Meissen o dalla rinomata produzione napoletana di porcellane della Real Fabbrica di Capodimonte, fondata nel 1741 da re Carlo di Borbone e da Maria Amalia di Sassonia, e della Real Fabbrica Ferdinandea, entrambe espressione di eccellenza dell’artigianato artistico partenopeo, famose per la loro qualità ed eleganza.
Un dialogo tra due approcci, visioni e culture, tra passato e presente, tra perfezione e imperfezione che Cucullu sceglie di sviluppare attraverso il rapporto-confronto con la ceramica, medium che sperimenta dal 2018, a partire dalla mostra «The New Old Days» alla Galleria Umberto Di Marino. Riprendendo riferimenti dalla subcultura urbana delle periferie, dei luoghi di emarginazione sociale, quindi dall’immaginario cittadino e delle diverse «sottoculture», l’artista crea una sorta di dispositivi di memoria, che accolgono l’errore, la casualità e l’imprevisto della lavorazione, dovuta alle molteplici cotture a cui sottopone i suoi lavori. Le ceramiche diventano porose alla vita, di cui restituiscono una nuova narrazione, individuale e collettiva al tempo stesso. È un racconto emotivo e irrazionale, in cui l’artista mescola, come aveva già fatto nei Wall Drawings e nelle ceramiche esposte nel 2018, racconto storico a racconto soggettivo.
Diversamente dalle ceramiche di Cucullo, «impastate» di vita, le porcellane che provengono dalle prestigiose fabbriche di Meissen e di Capodimonte, queste ultime caratterizzate da un impasto tenero e da un distintivo colore lattiginoso, si mostrano nella loro purezza formale e tecnica, accogliendo sulla superficie una narrazione idilliaca e mitologica. Si presentano, quindi, come una sorta di «monumento», impermeabile allo scorrere del tempo, ma anche distante da qualsiasi vissuto attuale.