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Lygia Clark, «O Eu e o Tu» della serie «Roupa-Corpo-Roupa», 1967 (particolare)

© Associação Cultural “O Mundo de Lygia Clark” (Ref. 20428)

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Lygia Clark, «O Eu e o Tu» della serie «Roupa-Corpo-Roupa», 1967 (particolare)

© Associação Cultural “O Mundo de Lygia Clark” (Ref. 20428)

L’arte di Lygia Clark è da vivere con tutti i sensi

La Neue Nationalgalerie di Berlino presenta la prima retrospettiva dedicata in Germania all’artista brasiliana neoconcretista: oltre 120 opere originali e 55 repliche dei suoi lavori relazionali, con cui il pubblico è invitato a interagire

Dal primo maggio al 12 ottobre la Neue Nationalgalerie presenta la prima retrospettiva mai realizzata in Germania sull’artista brasiliana neoconcretista Lygia Clark (1920-1988). La mostra, concepita in collaborazione con la Kunsthaus Zürich, dove sarà allestita dal 14 novembre all’8 marzo 2026, offre uno sguardo completo sulla carriera di Clark attraverso oltre 120 opere originali e 55 repliche, ed è curata da Irina Hiebert Grun, che abbiamo intervistato, e da Maike Steinkamp, curatrici della Neue Nationalgalerie.

Come si è sviluppata la retrospettiva su Lygia Clark e quali sono stati gli obiettivi principali nella cura del suo lavoro?
L’obiettivo principale era introdurre Lygia Clark al pubblico tedesco. Benché sia una figura centrale in Brasile e in Sud America, qui è conosciuta solo dagli esperti e non dal grande pubblico. Era chiaro che volevamo fare una retrospettiva. Il primo passo è stato contattare l’Associação Cultural Lygia Clark, la fondazione guidata dal figlio, che si è occupato di certificare le opere e di produrre le repliche. Il passo successivo è stato trovare i prestiti per la mostra. Maike Steinkamp, con cui ho curato la mostra, e io siamo andate in Brasile per incontrare gallerie, musei e collezionisti privati in possesso di opere. Tutti sembravano capire l’importanza di ospitare una mostra in Europa e sono stati disponibili a prestarci le opere.

Lygia Clark è conosciuta per la sua arte interattiva. Quale tipo di allestimento avete ideato?
La mostra si svolge nella sala superiore dell’edificio. I dipinti sono esposti in una struttura circolare interna con tende, in quanto necessitano di essere protetti dalla luce. Attorno, posizionate su un tappeto colorato così che i visitatori possano interagirvi, ci sono molte opere interattive: alcune sono ovviamente originali e sono esposte su piedistalli, ma molte sono repliche. Sono allestiti anche altri oggetti sensoriali, tra cui occhiali, maschere e tute, che il pubblico è invitato a «indossare». Un’altra area è dedicata a performance proiettate su monitor e arricchita da due performance dal vivo due volte alla settimana. L’ultima sezione riguarda l’arte-terapia e accoglie gli oggetti relazionali di Clark.

Lygia Clark, anni ’60. © Eduardo Clark

Negli anni Cinquanta, Lygia Clark e i membri del movimento neoconcretista furono introdotti alle idee fenomenologiche di Maurice Merleau-Ponty. Come appare questa influenza filosofica nelle sue opere?
Merleau-Ponty svolse una forte influenza sul movimento dell’Arte concreta e Clark conosceva perfettamente la sua filosofia. I concetti fenomenologici, in particolare la questione della dualità dentro-fuori, erano già presenti nei suoi primi dipinti, anche prima che il movimento neoconcretista fosse fondato nel 1959. Clark cercava di dissolvere il confine tra immagine e spazio circostante, non riconoscendo più la cornice come una limitazione della tela, ma come parte integrante della sua composizione. Presto iniziò a comprendere l’opera d’arte come un fenomeno organico, che doveva essere vissuto con tutti i sensi. In questa direzione, Clark nel 1959 iniziò a sviluppare i suoi «Bichos» (creature) come sculture senza forme fisse, che esistevano grazie all’interazione attiva dello spettatore con le qualità dell’oggetto e dello spazio circostante. Scelse il nome «Bichos» perché vedeva i suoi oggetti come animali. Come variazioni di queste creature arrivarono poi i «Trepante» (1965) e «Obra Mole» (1965), esplorazioni di una striscia di Möbius, realizzate con materiali flessibili come metallo sottile o gomma. Scelse questa forma particolare anche per «Caminhando» (1963) proprio perché non aveva un dentro né un fuori.

La psicoanalisi e la terapia hanno svolto un ruolo fondamentale nella sua pratica artistica. Com’è avvenuto il passaggio verso la creazione di un’arte terapeutica?
Clark entrò in contatto con la terapia all’inizio degli anni Settanta. In quel periodo si trovava a Parigi e visitò la clinica La Borde, dove gli psicoanalisti Jean Oury e Félix Guattari stavano sviluppando un modello sperimentale di psichiatria focalizzato sulla partecipazione e la collettività, che la influenzò molto. Da lì, Clark cercò di dare alla sua arte uno scopo sociale. Dopo aver seguito un trattamento psicoanalitico di due anni, sviluppò il suo metodo nel ’76, una volta tornata a Rio de Janeiro. Iniziò a tenere sessioni di un’ora nel suo appartamento. I clienti venivano invitati a sdraiarsi su un materasso indossando solo la biancheria intima, e lei posizionava su varie parti del corpo i suoi oggetti relazionali. Questi erano materiali molto semplici, come pietre, conchiglie, fiori, ma anche sacchetti di plastica o cibi vari.

Come si sperimentano questi oggetti relazionali nella mostra?
C’è uno spazio interamente dedicato a questo lavoro, dove mostriamo le repliche degli oggetti relazionali, oltre a un monitor che proietta estratti delle sue sedute terapeutiche. Abbiamo anche posizionato un materasso sul pavimento per permettere alle persone di sdraiarsi e vivere l’esperienza della sua terapia. Sono esposti anche i diari in cui scriveva delle sessioni.

Qual è stata la sfida più grande nel curare l’esposizione?
L’aspetto più difficile è stato probabilmente il fatto che solo pochi musei possedevano opere di Clark nelle loro collezioni. La maggior parte si trovava in collezioni private ed è stata quindi necessaria  una lunga ricerca per localizzarle, ma alla fine ci siamo trovati con più di quaranta prestatori diversi...

Sono previsti altri eventi collegati alla mostra?
Oltre a un catalogo, è previsto un ampio programma di eventi: conferenze, concerti e anche un simposio scientifico all’Ibero-Amerikanisches Institut. Vogliamo dedicare quest’estate al Brasile!

Lygia Clark, «Superfície Modulada», 1955-56. © Private collection

Lygia Clark, «Composição», 1952. © Coleção Jones Bergamin

Chiara Caterina Ortelli, 10 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

L’arte di Lygia Clark è da vivere con tutti i sensi | Chiara Caterina Ortelli

L’arte di Lygia Clark è da vivere con tutti i sensi | Chiara Caterina Ortelli