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Sanzia Milesi
Leggi i suoi articoli«Le nostre case raccontano. Un’intimità. Uno spazio condiviso. Uno luogo dove si condividono sogni e storie», dichiara Daniele Ratti. Che le case racchiudano almeno un po’ dell’anima delle persone che le hanno costruite, arredate e vissute, lo sa bene il fotografo milanese, che con «Due cuori e una capanna», alle Gallerie d’Italia-Napoli fino al 14 settembre, guida il pubblico all’interno delle dimore di personaggi come lo scrittore argentino Julio Cortázar a Parigi o il Premio Nobel della Letteratura José Saramago a Lanzarote. Postazioni colte attraverso il filtro del suo sguardo, appassionato ed esperto. Nato a Milano nel 1974, ma ormai torinese, Daniele Ratti è un architetto (mancato), avvicinatosi alla fotografia giovanissimo, con un percorso ormai ventennale alle spalle. Quattordicenne, compra la prima Rolleiflex 35, ma è dopo la laurea che si dedica veramente alla «più grande scuola di fotografia», e dai primi Duemila ai suoi lavori di ricerca. Da sempre in lui vive il fascino della pellicola, con le sue limitazioni e la sua poesia. I suoi due amori, da sempre, sono fotografia e architettura. Due cuori che si incontrano ora nella mostra curata da Benedetta Donato, che vuole porre in relazione «il delicato equilibrio tra spazio abitato e vissuto emotivo» e sviluppare «una riflessione sull’abitare come gesto d’amore, e sull’architettura come custode della memoria affettiva». Come spiega in dettaglio la curatrice: «Quello che mi ha attratto di questo lavoro, di cui con Ratti parlammo per la prima volta nel 2019, è stata l’idea di leggere l’architettura al di là del disegno progettuale, pur se in molti casi realizzato per mano dei grandi maestri del ’900. L’architettura umanizzata, pensata per le persone che ci hanno vissuto, che hanno condiviso momenti ed esperienze. Partire dall’evidenza palpabile di un oggetto costruito, per arrivare a percepire le atmosfere che hanno permeato quegli spazi. Ci si immedesima e attraverso il racconto fotografico disegniamo planimetrie dell’immaginario, scoprendo altri mondi in cui gli ambienti appaiono pulsanti e dotati di vitalità. Un altro aspetto importante del lavoro è l’approccio anacronistico rispetto a quanto vediamo accadere negli ultimi anni: si è assistito a un’inversione della concezione antica della funzione abitativa, che da sfera prevalentemente privata si è trasformata in palcoscenico mediatico dell’identità, filtro e interfaccia tra individuo e collettività, suscitando la sensazione di vivere al di fuori delle mura delle nostre case, come spettatori delle nostre e altrui abitudini e di quello che rimane della nostra privacy. In un momento in cui ogni frammento della nostra vita quotidiana viene condiviso ossessivamente attraverso i social network, Daniele Ratti si pone in netta contrapposizione a una tendenza invasiva e pervasiva, ricercando e rivendicando quella dimensione nascosta, prettamente personale e meditativa, quell’intimità spaziale reciproca che si instaura all’interno dell’ambiente in cui viviamo».

Daniele Ratti, «Casa Museo Einar Jónsson, Reykjavík, Islanda, Agosto 2022». © Daniele Ratti. Courtesy dell’artista

Daniele Ratti, «Casa Museo José Saramago, Lanzarote, Spagna, Febbraio 2023». © Daniele Ratti. Courtesy dell’artista
Il progetto è stato realizzato dall’artista nell’arco di diversi anni, dal 2020 al 2024. Un percorso lungo 42 fotografie d’autore, che si snoda toccando nazioni da un capo all’altro del mondo: dal Kenya alla fredda Islanda, entrando nella Dodo’s Tower fatta edificare da Dodo Cunningham-Reid negli anni Settanta al Lake Naivasha, così come nella Casa Museo dello scultore Einar Jónsson a Reykjavík. Senza dimenticare l’Italia, con Trieste a Napoli, Firenze e Siena, isole comprese, con Sassari e Palermo. «Le case, chiarisce l’artista, a volte sono costruite da architetti famosi per persone che vivono all’interno le loro relazioni amorose. A volte, invece, sono case più semplici che raccontano una storia d’amore». Così, alcune mete sono già note ai più: dal Cabanon francese alla Cupola italiana, dal capanno progettato nel 1951 a Cap Martin da Le Corbusier, come dono alla moglie, sino all’opera sassarese tra il blu del Golfo dell’Asinara e il rosso del granito di Costa Paradiso, ideata nel 1970 da Dante Bini e divenuta celebre residenza estiva del regista Michelangelo Antonioni e dell’attrice Monica Vitti. «A volte, ho pensato ai gesti semplici che si svolgevano dentro quelle case, come il cucinare, racconta Ratti. Michelangelo Antonioni e Monica Vitti che fanno diventare la Cupola un centro di aggregazione per artisti, registi, scrittori e poeti. Che vanno a cucinare una pasta a mezzanotte, che scendono al mare: questo per me era importante». Ma insieme ci sono anche luoghi che sono meno frequentati: com’è per la casa a Posillipo del grande maestro della fotografia Mimmo Jodice e di sua moglie Angela. «Quella di Angela e Mimmo Jodice, conclude Ratti, è una storia d’amore incredibile. Racchiude il significato dell’intera mostra. Come due persone hanno condiviso, si sono aiutate e sono state l’una la portanza dell’altra, hanno fatto tutto insieme. La storia di come si sono conosciuti, di come siano in simbiosi, per me questo è molto importante. È una casa da sentire. Dentro, ci sono due cuori e una capanna. Ed è tutto quello che serve».

Daniele Ratti, «Villa E-1027-Eileen Gray, Cap Moderne, Roquebrune-Cap-Martin, Francia, Settembre 2024». © Daniele Ratti. Courtesy dell’artista