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Simone Cantarini, «Madonna con Bambino in gloria e i santi Barbara e Terenzio», 1629-31 ca, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche (particolare)

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Simone Cantarini, «Madonna con Bambino in gloria e i santi Barbara e Terenzio», 1629-31 ca, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche (particolare)

La vita spericolata di Simone Cantarini

Nella Galleria Nazionale delle Marche 56 opere di «uno dei grandi del Seicento, che seppe coniugare la lezione di Barocci e il cromatismo veneto con l’eleganza di Guido Reni e la verità caravaggesca». Grazie ai restauri scoperte opere inedite

Nel Palazzo Ducale di Urbino, dal 22 maggio al 12 ottobre, la Galleria Nazionale delle Marche propone «Simone Cantarini (1612-1648) detto il Pesarese», che Andrea Emiliani definì «petit-maître di rara sensibilità stilistica». La mostra, organizzata con le Gallerie Barberini Corsini di Roma, onora sia il pittore pesarese sia il sofferto crepuscolo degli dèi del Ducato d’Urbino, in cui Luigi Gallo (Direttore GNdM), Anna Maria Ambrosini Massari (Università di Urbino) e Yuri Primarosa (Palazzo Barberini) illustrano con 56 opere di ritrattistica, pittura sacra e di devozione e mitologica l’innovazione creativa di Cantarini, che morte oscura e prematura a 36 anni privò di più fervide risonanze e palmarès. Avverte Luigi Gallo: «Chiave di lettura della mostra e della poetica di Simone è il contesto storico culturale». Fra 1621 e 1626 si consuma la miserevole fine del Ducato d’Urbino e della dinastia Montefeltro-Della Rovere: dalle nozze nel 1621 dell’erede Federico Ubaldo (1605-23) e Claudia de’ Medici (1622-94, nata Vittoria Feltria), ultima Della Rovere morendo il padre a 18 anni dopo l’ennesima notte di stravizi. Ma l’investitura papale del ducato ai Montefeltro rinnovata ai Della Rovere prevedeva un’unica successione femminile, quella già goduta dal primo duca della Rovere Francesco Maria I (1490-1538), ritratto da Tiziano nel 1537. Da qui l’eredità negata di Vittoria che, fidanzata a un anno al cuginetto futuro Ferdinando II di Toscana, portò in dote «solo» l’enorme collezione d’arte che con lei da Urbino migrò a Firenze. Lo sfacelo dinastico causò l’altrettanto sfacelo dell’epigono Francesco Maria II (1549-1631), ventenne bello e dannato già nel ritratto di Barocci del 1572. Dopo anni di dissolutezza, il matrimonio sventurato nel 1570 con Lucrezia d’Este (1535-98), di 15 anni più vecchia e subito sterile per la sifilide che lui stesso le trasmise, e nel 1599 le faticose peggiori seconde nozze ad procreaundum con l’acerba cugina Livia Della Rovere (1585-1641) che fortunosamente produssero l’inutile «Federichino» (peraltro fin dalla culla più volte ritratto da Barocci e gli allievi Vitali e Ridolfi), Francesco Maria II, ormai demotivato e sconfitto, firmò a fine 1624 l’irosa devoluzione dei suoi stati all’avido Urbano VIII, esiliandosi malmostoso a Casteldurante dove nel Palazzo Ducale tenne corte privata ma fastosa d’eleganze e cultura, e splendida del talento di Barocci: canto del cigno della tradizione familiare.

«Impossibile quindi prescindere da questo scenario storico, prosegue Gallo, in cui Urbino da centro arbitro del gusto “si fa periferia” (per citare Enrico Castelnuovo e Carlo Ginzburg) e da nicchia ideale e feconda diviene patria perduta di artisti e letterati in diaspora a Roma o Bologna, sedi dell’estraneo potere papale». Si compie così l’altrettanto tramonto, ma luminoso e trionfale, del variegato linguaggio artistico urbinate da Raffaello agli Zuccari e Barocci fino all’eco caravaggesca del Fossombrone (1589-1657) e appunto a Simone Cantarini che «nato a Pesaro nello stesso anno in cui muore Barocci nel 1621, ebbe un percorso “diagonale” rispetto alle direzioni dell’arte nelle nuove capitali del gusto, affermando una pittura attenta al dato naturale e al contempo decisamente intellettuale. La pertinenza geografica e culturale a quegli anni di trasformazione fa di Simone Cantarini l’unico erede della tradizione urbinate, il più indipendente degli allievi di Guido Reni, il pittore del cardinale Antonio Barberini e aggiornato alle novità romane, Poussin e Pietro Testa il Lucchesino. Se la sua creazione appare volubile fra istanze e maniere diverse, tutte si fondono nel raro talento che ne fa uno dei grandi del Seicento», conclude Gallo. 

Simone Cantarini, «Madonna con Bambino in gloria e i santi Barbara e Terenzio», 1629-31 ca, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche

Simone Cantarini, «Ritratto del Cardinale Antonio Barberini junior», 1631 ca, Roma, Galleria Nazionale di Arte Antica Palazzo Barberini

Il Pesarese si avviò alla pittura coi tardomanieristi Giovan Giacomo Pandolfi (1567-1636), marchigiano, e Claudio Ridolfi (1570-1644), veneto, seguaci l’uno di Federico Zuccari e del Veronese l’altro. Seguì poi il Fossombrone (di cui l’influenza si ode nel garbo di cromatismi opalescenti e morbide strutture compositive) fino alla litigiosa formazione con Guido Reni a Bologna (risentito viavai negli anni 1630), del quale Cantarini è però l’unico allievo a fissare un codice esclusivo (vivo pittoricismo, tavolozza lieve e sfumata, figure in pose inedite) che indurrà le goût des Bolonais ai modi più delicati e intimisti del Secondo Seicento, quando la sua egida affiora negli allievi Lorenzo Pasinelli e, più tardi, Donato Creti. La rassegna così declina l’opera picta di Cantarini dalla giovanile attività nel Ducato all’impegno col cardinale Antonio Barberini II (1607-71), al legame con Guido Reni, affaticato di aggressiva e rancorosa emulazione, l’occhio di bue sempre puntato sull’innovante personalissima cifra della Maniera, multipla crasi fra l’eredità di Urbino fino a Barocci, il modello di Guido Reni a Bologna e l’antico studiato a Roma: ossimoro di Classicismo e Naturalismo. «La produzione di Cantarini, aggiunge Yuri Primarosa, è rivisitata alla luce dei riscontri più recenti su tecnica pittorica, poetica e relazioni artistiche. In più, restauri e indagini diagnostiche ad hoc hanno condotto a scoperte di opere ad oggi inedite, come il licenzioso “Ercole e Iole” celebrato da Malvasia o il seducente “San Giovanni Battista nel deserto”». 

Focus tematici sono: i Ritratti (nei quali Carlo Cesare Malvasia nel 1678 distinse «una particolar dote») con l’«Autoritratto» (Roma, Galleria Corsini), «Guido Reni» (Bologna, Pinacoteca Nazionale), «Antonio Barberini II» (Roma, Palazzo Barberini); i Temi Profani: fra cui «Allegoria della Pittura» (San Marino, Cassa di Risparmio), «Ercole e Iole» (Roma, Collezione privata); il legame coi pittori del tempo, a partire dalla sfida a Guido Reni in «San Gerolamo» (Parigi, Galerie Canesso), «Davide e Golia» (Galleria Nazionale delle Marche), «San Giuseppe» (Roma, Galleria Corsini), «San Giovanni Battista» (Londra, Dulwich Picture Gallery). La rassegna celebra anche l’incremento collezionistico della Galleria delle Marche perché Simone Cantarini è recente aggiunta: del 2019 (deposito CaRiPesaro) sono due «Madonne con Bambino», la «Sacra Famiglia come Santissima Trinità» e il «Giudizio di Paride»; nel 2021 il progetto «100 opere tornano a casa» ha riportato a Urbino dalla Pinacoteca di Brera due pale d’altare razziate in età napoleonica: «I santi Barbara e Terenzio» e «La visione di sant’Antonio»; e infine nel 2025 Intesa Sanpaolo Pesaro ha conferito «Sibilla lettrice», «Erminia e i pastori», l’ascetico «Ritratto di Eleonora Albani» e due «Sacre Famiglie». «Cantarini coniuga la lezione baroccesca e il cromatismo veneto con l’eleganza di Guido Reni e la verità caravaggesca e porta nelle sue opere un inedito sentire di gesti, sguardi, silenzi: quella sensibilità individuale che trasforma anche le sue opere religiose in elegie, conclude la curatrice Anna Maria Ambrosini Massari. Si potrebbe dirlo romantico ante litteram per quanto sa svelare ed esibire il sentimento ed esprimere l’interiorità. Quella che in lui fu specialmente tormentata per la “vita spericolata”: 36 anni appena, la morte avvolta di mistero, l’anima indomita e inquieta a cercare la gloria con l’ardore di superare i maestri».

Simone Cantarini, «Apparizione di Gesù Bambino a sant’Antonio da Padova», 1639-40 ca, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, deposito da Pinacoteca di Brera, già Cagli, Chiesa di San Francesco

Simone Cantarini, «San Gerolamo», 1637-39 ca, Bologna, Pinacoteca Nazionale

Giovanni Pellinghelli del Monticello, 19 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

La vita spericolata di Simone Cantarini | Giovanni Pellinghelli del Monticello

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