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- Chiara Coronelli
- 09 aprile 2017
- 00’minuti di lettura


La mia patria è il Delta del Po
- Chiara Coronelli
- 09 aprile 2017
- 00’minuti di lettura
Chiara Coronelli
Leggi i suoi articoliQuando nel 1953, due anni dopo l’alluvione del Polesine, Pietro Donzelli (Montecarlo, 1915-Milano, 1998) torna nel Delta del Po, è per cominciare quella lunga ricerca, durata poi fino al 1961, intitolata «Terra senz’ombra», vertice di tutta la sua produzione, oltre che uno dei capitoli più rilevanti della storia della fotografia italiana. Una regione che aveva già attraversato da soldato, negli ultimi anni della guerra, e che gli resterà dentro per sempre, «senza volerlo, diceva, l’avevo scelta come patria ideale, come protezione dalla minaccia di sentirmi per sempre un apolide».
Oltre cento immagini di questa serie, sia vintage che stampe moderne, tra le quali molte inedite, si trovano esposte in «Terra senz’ombra. Il Delta del Po negli anni Cinquanta», la rassegna a cura di Roberta Valtorta, in corso fino al 2 luglio a Palazzo Roverella (promossa da Fondazione Cariparo, con la collaborazione di SilvanaEditoriale che pubblica il catalogo). Ricercatore, studioso, curatore, fondatore della rivista «Fotografia» e poi dell’Unione Fotografica, con un occhio alla Farm Security Administration di Dorothea Lange e Walker Evans, l’opera di Donzelli ha seguito l’Italia tra dopoguerra e anni Sessanta, concentrandosi sul rapporto tra l’uomo e il suo ambiente. Nel lungo racconto del Delta del Po ci sono le linee infinite del paesaggio, il lavoro dei contadini e dei pescatori, la calma del fiume e il ricordo della sua violenza, il dialogo con la natura e una pianura divisa tra acqua e terra. Una realtà che il suo sguardo sedimenta e rende in uno «stile documentario morbido, scrive la curatrice, talvolta anche pudicamente romantico (Donzelli è italiano, non americano, e semmai vicino alla sensibilità francese), e venato di malinconia».