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Simone Leigh, «Village Series», 2023

Courtesy of Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

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Simone Leigh, «Village Series», 2023

Courtesy of Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

La Fondazione Sandretto è stata irriverente, attraente e divertente

Per 23 anni suo direttore artistico, il curatore e critico d’arte Bonami celebra il trentennio dell’istituzione: «Un progetto fatto in casa che è stato capace di trascinarsi dietro il mondo dell’arte internazionale, non per ambizione ma per convinzione» 

Francesco Bonami

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Fino all’8 marzo 2026, in occasione del 30mo anniversario della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, viene presentata «News from the Near Future», una grande mostra collettiva a cura di Bernardo Follini ed Eugenio Re Rebaudengo che celebra trent’anni di impegno nella promozione dell’arte contemporanea. Allestita in due sedi, negli spazi torinesi della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (che ha sue sedi anche a Madrid, a Venezia e a Guarene, tra le colline piemontesi del Roero) e al Mauto-Museo Nazionale dell’Automobile, la mostra ripercorre tre decenni di ricerca artistica attraverso una selezione di opere provenienti dalla Collezione Sandretto Re Rebaudengo. Negli spazi della Fondazione sono messi a confronto opere storiche e lavori recenti o mai presentati al pubblico, oltre a una sezione-archivio dedicata alla storia dei trent’anni della Fondazione, attraverso documenti, materiali mediali, video, immagini e opere; nel percorso espositivo permanente del Mauto è invece disseminata una selezione di opere della Collezione che ricostruisce genealogie che connettono la storia dell’arte recente alla storia della Fondazione Sandretto. La mostra è accompagnata dal volume, edito da Allemandi, News From the Near Future. Trent’anni della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che documenta la trentennale storia di mostre, di collaborazioni, di produzioni e progetti culturali, in un lungo e ricchissimo racconto visivo illustrato dalle opere, gli allestimenti, gli opening, i volti delle artiste e degli artisti che hanno esposto nei suoi spazi e le innumerevoli personalità che qui si sono incontrate. Il volume è anche una raccolta di saggi e conversazioni, affidata alle voci di Francesco Bonami, Iwona Blazwick, Mark Rappolt e Larys Frogier, alle riflessioni del team dell’istituzione e di chi ha collaborato nel tempo con la Fondazione, come Francesco Manacorda, Ilaria Bonacossa, Stefano Collicelli Cagol e Lorenzo Balbi, oggi alla direzione di alcuni dei più importanti musei italiani. Quello che segue è il testo «Finiti nel futuro, pensando fosse il presente» scritto da Francesco Bonami, dal 1995 al 2018 direttore artistico della Fondazione.

«Nel mondo dell’arte nessuno inventa nulla da solo e nessuna idea sta in piedi da sola. Tutto è frutto di coincidenze, errori, ingenuità e stelle che per caso si allineano. Nel 1995 né io né Patrizia Sandretto Re Rebaudengo sapevamo chi fossimo. Soltanto la reciproca ignoranza e la condivisa ingenua irresponsabilità, unita a una comune passione per l’arte contemporanea, hanno potuto dare alla luce quel meraviglioso azzardo, diventato fantastica realtà, che è la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Nessun esperto di comunicazione avrebbe mai accettato un nome così lungo e quasi impronunciabile. Prova che quando si va coscientemente o incoscientemente contro le regole a volte si crea la cosa giusta. Oggi un’idea come quella che avemmo, senza piani o strategie, non potrebbe più funzionare.

Wolfgang Tillmans, «Greifbar 48», 2017. Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Un giorno di giugno del 1995 staccammo l’ancora e per più di vent’anni abbiamo navigato a vista in un mondo dell’arte che nessuno dei due sapeva bene come funzionasse. Recentemente Doug Aitken, seduto davanti a due uova fritte in un albergo di Basilea, ricordava la contagiosa e improvvisata energia e complicità che esisteva fra gli artisti di «Campo 6», la mostra che mettemmo assieme in quello che Aitken definisce, confuso dai trent’anni passati, lo «scantinato» della GAM di Torino (l’Underground Project, che oggi è chiamato Spazio del Contemporaneo). D’altronde, nelle cantine sono nate le espressioni artistiche più radicali e rivoluzionarie. Noi forse, senza nemmeno volerlo, un po’ radicali e rivoluzionari con la «fondazione» lo siamo stati. Un progetto fatto in casa che è stato capace di trascinarsi dietro il mondo dell’arte internazionale, non per ambizione ma per convinzione. Eravamo convinti di quello che facevamo senza sapere bene perché lo facevamo. La lista dei progetti-avventure che abbiamo messo in piedi è lunga e io non me li ricordo nemmeno tutti. Ma a partire dai premi di Guarene Arte, alcuni rimangono nella mia memoria in una forma quasi mitica: dal libretto Sogni/ Dreams, pubblicato nel 1999 in occasione della Biennale di Venezia con Hans Ulrich Obrist a «Loco-Motion. Contemporary Art on the Border of Cinema», la rassegna di video e film di artisti, organizzata sempre a Venezia, due anni prima, nella sala di un cinema fatiscente. Ricordo «Campo 95», la prima mostra allestita in un magazzino abbandonato alle Corderie dell’Arsenale, improvvisata e comunicata solo con il passaparola fra la gente venuta a vedere la Biennale. Fu un successo clamoroso che ci trovò impreparati. Oggi certi progetti non sarebbero possibili per i loro, senza volerlo, titoli provocanti: «Alllooksame», la mostra sull’Asia («Alllooksame?/Tutttuguale? Arte da Cina, Corea, Giappone» nel 2006-07, Ndr); «Non Toccare la Donna Bianca» (2004-05), con solo artiste donne, «YouPrison» con i progetti di 11 celle carcerarie («YouPrison. Riflessioni sulla limitazione di spazio e libertà» nel 2008, Ndr); «Silence. Listen to the Show», video e opere sonore («Silenzio. Una mostra da ascoltare» nel 2007, Ndr). Senza cedere a sentimentalismi devo però concedere che, ripensando a tutti questi progetti, mi rendo conto che viaggiavamo in un sogno.

Oggi la Fondazione continua a sognare, in modo più responsabile e concreto ma sempre con lo stesso spirito originario di navigazione a vista. Perché è essenziale che la scoperta dell’arte rimanga un’esplorazione misteriosa senza fine e senza scopo. Con Patrizia non abbiamo mai voluto immaginare il futuro né progettarlo. Ci siamo finiti dentro per sbaglio. Abbiamo pensato che fosse il presente. È stata questa nostra illusione o delusione di fare continui esperimenti che ha dato alla Fondazione una propria unica identità e che ancora oggi la spinge a esplorare nuovi luoghi fisici, geografici e mentali. L’arte deve essere quello che nel 1995 ci siamo ritrovati fra le mani. Un cocktail d’ingenuità, curiosità, rischio, irresponsabilità e inutile passione. Se l’arte diventa scienza, matematica, finanza, non è più divertente, non è più irriverente, non è più attraente. 

La Fondazione è stata irriverente, attraente e divertente. Questo deve continuare a essere. Punto di riferimento, luogo di divertimento. Occasione radicale e sperimentale. Deve ogni tanto immaginare di tornare in quello scantinato stracolmo di energia che Doug Aitken e tanti altri artisti non riescono e non vogliono dimenticare».

Ed Atkins, «Safe Conduct», 2015. Photo: Paolo Saglia

Francesco Bonami, 19 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

La Fondazione Sandretto è stata irriverente, attraente e divertente | Francesco Bonami

La Fondazione Sandretto è stata irriverente, attraente e divertente | Francesco Bonami