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Laura Giuliani
Leggi i suoi articoliGli antichi avevano compreso subito l’importanza dell’acqua. L’acqua che scorre, lava e purifica. Che unisce, dona la vita e scandisce goccia dopo goccia il lento fluire dell’esistenza. Fino al primo settembre il Museo di Arte Orientale (Mao) di Torino racconta l’antico rapporto tra acqua e Islam nella mostra «Goccia a goccia dal cielo cade la vita» a cura dello storico Alessandro Vanoli. Un tema difficile da sviscerare per le innumerevoli connessioni che comporta.
«È una mostra coraggiosa, spiega Giovanni Curatola, presidente del comitato scientifico, con alcune curiosità; l’idea è di produrre più materiale possibile affinché possa essere il punto di partenza di un tour itinerante in grado di far apprezzare l’arte islamica in generale poco conosciuta dal grande pubblico». Non a caso il catalogo (Silvana) è in italiano e in inglese. Centoventi i manufatti esposti, tra cui pregiate brocche ottomane iznik blu, coppe in vetro, ciotole da divinazione dai poteri taumaturgici, bacini, manoscritti, miniature, tappeti giardino, ceramiche e mattonelle dalle decorazioni variopinte. E anche se non la vedi, l’acqua è presente lungo tutto il percorso con suoni e movimenti.
Quattro sezioni illustrano le differenze culturali e regionali del mondo islamico dal XVI al XIX secolo: religione, hammam, palazzo e paesaggio e infine giardino. «L’acqua accompagna la vita di ogni credente» recita il Corano dove la parola «Ma» (acqua) si ripete più di sessanta volte rimandando alla sua fruizione religiosa e dunque alla pratica delle abluzioni prima di ogni preghiera.
Preghiera e purificazione attraverso l’hammam. Così dai vapori e densi fumi del bagno, si passa all’acqua che arriva nelle case e nei palazzi, fonte di convivialità e ospitalità. E vi giunge attraverso acquedotti e fontane, raggiungendo campi e giardini: le straordinarie bocche di fontana di manifattura siriana in bronzo o ottone con le bocche a testa di animale ne sono un esempio. E se in passato oggetti e ceramiche islamiche hanno sempre esercitato un fascino tale da ispirare famose manifatture europee, oggi non è più così.
«Nel panorama italiano, continua Curatola, non c’è grande attenzione per l’Islam. E soprattutto c’è un problema di dispersione dei pezzi dislocati in vari musei tra i quali il Bargello di Firenze e il Museo delle Civiltà di Roma (da entrambi provengono alcuni degli oggetti in mostra, Ndr). E poi c’è il Mao che ha un ruolo importante nel panorama delle collezioni islamiche ma che non è ancora riuscito a conquistare l’interesse del grande pubblico come meriterebbe».

Miniatura indiana del 1680 ca (particolare). Cortesia L.A. Mayer Museum for Islamic Art, Gerusalemme, Israele