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Viviana Bucarelli
Leggi i suoi articoliJames Turrell (Pasadena, California, 1943) ha «ridisegnato» pochi anni fa l’intero Guggenheim Museum di New York con un bagno di luce di vari colori che ha stregato i visitatori per mesi; ha creato i suoi «Skyspaces», spazi aperti sul paesaggio, nei più diversi angoli del mondo, dalle montagne del villaggio austriaco di Lech am Arlberg alle terre dei vigneti di Napa Valley in California, alle pendici delle Ande in Argentina, così come nei campi di riso del Giappone occidentale e nei giardini del National Gallery di Canberra in Australia; e ha creato un osservatorio naturale, di gigantesche proporzioni e tuttora in lavorazione, all’interno di un cratere di un vulcano estinto nel mezzo del deserto dell’Arizona.
Visitare una mostra di Turrell significa ritrovarsi immersi in un’esperienza intensa e totalizzante. E l’occasione si ripresenta ora grazie al Mass MoCA di Los Angeles che, eccezionalmente per quattro anni, fino al 2025, ospita «James Turrell: Into the Light», una mostra che propone un’opera per ogni decennio del percorso artistico del pioniere del Light and Space movement.
La fascinazione di Turrell per la luce è cominciata fin da quando era bambino e guardava attraverso le finestre delle case dei suoi vicini il riflesso dei televisori accesi. E la luce è anche di centrale importanza nella spiritualità della sua famiglia che è quacchera da generazioni.
Ma sono le infinite possibilità della luce e i diversi effetti creati dagli accostamenti tra i colori (come avevano studiato gli Impressionisti e i Divisionisti) che lo affascinano forse più di tutto. Delle sue opere ha detto recentemente che sono solo «uno strumento per ampliare la nostra dimensione in quanto esseri umani e per creare una congiunzione tra la luce che sta qui fuori e quella che risiede all’interno di ciascuno di noi».

«Perfectly Clear (Ganzfeld)» (1991) di James Turrell. © James Turrell. Foto Florian Holzherr