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Il replicante e l’inquietante
- Ada Masoero
- 08 giugno 2017
- 00’minuti di lettura
Fino al 30 luglio la GAMeC presenta un inedito omaggio ad Andy Warhol con la mostra «L’opera moltiplicata», in cui Giacinto Di Pietrantonio, direttore del museo, ha inteso ricreare il flusso di energia e sperimentazione che scorreva nella Factory, il grande studio newyorkese fondato nel 1962 da Warhol, dove s’incontravano i giovani Basquiat, Francesco Clemente e Keith Haring.
Sulle pareti rivestite di carta argentata, proprio come nella Factory, sfilano i dipinti, con le icone del XX secolo (Lenin, Mao Tse-Tung, Beuys, Man Ray), i multipli su carta («Flowers», «Campbell’s Soup») e film rivoluzionari come «Empire» (un’inquadratura fissa dell’Empire State Building, per otto ore). Non mancano copertine di dischi (arcinote quella con la banana, per i Velvet Underground, e quella non meno provocatoria, con i jeans e la zip apribile, per l’album «Sticky Fingers» dei Rolling Stones) e la sua rivista «Interview», oltre a fotografie che documentano la fusione tra arte e vita nella sua singolare e profetica biografia (non si contano gli artisti che lo avrebbero imitato).
Obiettivo: mostrare come Warhol puntasse sull’iterazione e sulla replica dell’opera d’arte per demistificare il principio dell’«autorialità». Originale anche il catalogo (GAMeC Books), con brevi testimonianze dei 60 artisti, da Vanessa Beecroft a Sislej Xhafa, che in questi anni hanno esposto nel museo bergamasco.
Contemporaneamente si apre una personale di Pamela Rosenkranz (1979, vive e lavora a Zurigo), che con un linguaggio del tutto personale, fondato su medicina e religione, arte, filosofia e marketing, riflette sull’ingresso massiccio dell’«artificiale» nel «naturale». Materiale prediletto, infatti, è il silicone color carne, con la sua ambiguità tra organico e sintetico, mentre il colore dominante è il blu, quello cui l’umanità è, ovunque, più sensibile, essendosi sviluppata la capacità di percepirlo quando le prime forme di vita si muovevano sott’acqua.