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Coppia di maschere del Teatro Noh

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Coppia di maschere del Teatro Noh

Il Sole d’Oriente tramonta a Milano: il saluto di Renzo Freschi

Il gallerista pioniere e grande esperto di arte orientale, chiude lo spazio espositivo, ma il suo addio è una mostra strepitosa

Dopo cinquant’anni di viaggi, mostre, collaborazioni, esposizioni, pubblicazioni e scoperte, Renzo Freschi chiude la sua storica galleria di via Gesù a Milano, uno degli ultimi spazi italiani dedicati interamente all’arte dell’Asia e dell’Himalaya. Dal 10 novembre al 20 dicembre, la galleria ospiterà un’ultima grande esposizione ripercorrendo la lunga carriera del suo fondatore, dai primordi fino ad oggi, attraversando mezzo secolo di lavoro, ricerca e passione.

La chiusura di questa galleria non segna soltanto la conclusione di una carriera individuale, ma la fine di un capitolo fondamentale nella storia del collezionismo e della conoscenza dell’arte orientale in Italia. Infatti, quando nel 1976 Freschi aprì Mandala, la sua prima galleria nel cuore di Milano, il mercato italiano dell’arte extraeuropea era pressoché inesistente. L’interesse per le culture asiatiche era allora confinato al mondo accademico o a pochi visionari collezionisti cosmopoliti. In questo contesto, Freschi operò da vero pioniere: con curiosità e rigore, avvicinò un pubblico occidentale alle arti dell’India, del Gandhara, del Tibet, del Sud-Est asiatico e della Cina, introducendo nel dibattito estetico italiano una sensibilità nuova, fondata sulla ricerca e sull’empatia culturale.

In oltre sessanta viaggi dall’Afghanistan al Giappone, Freschi costruì non soltanto una rete di contatti e fornitori, ma un immaginario, un modo di guardare all’Oriente libero dai cliché dell’esotismo. Le oltre cinquanta mostre da lui organizzate (dedicate, tra le altre, alle sculture del Gandhara, ai gioielli dell’Asia centrale, ai ricami popolari indiani, ai bronzi buddhisti o ai ritratti dei mandarini cinesi) hanno definito la grammatica visiva di un intero settore del mercato antiquario italiano, fornendo ai collezionisti strumenti di comprensione e lettura critica delle arti asiatiche. Come egli stesso ricorda nel comunicato di chiusura, «da questo intento sono nate le oltre cinquanta mostre organizzate in Galleria, che indagavano di volta in volta il poliedrico mondo dell’Arte Orientale». Un’attività accompagnata da oltre trenta cataloghi, spesso realizzati in collaborazione con studiosi italiani e stranieri, che costituiscono oggi un corpus bibliografico di riferimento, in cui qualità iconografica e coerenza scientifica si equiparano.
 

Coppi di protettori di tomba, Cina, Dinastia Tang, VII secolo

Nel 1996, con l’apertura della sede di via Gesù, vero epicentro del collezionismo milanese, la galleria Renzo Freschi consolidò il proprio ruolo di ponte tra mercato e istituzioni. L’attenzione filologica e il gusto raffinato delle sue esposizioni contribuirono a elevare la percezione dell’arte asiatica da curiosità etnografica a categoria artistica a pieno titolo, favorendo anche la presentazione di opere orientali nelle collezioni museali italiane. Emblematica in tal senso fu la mostra «Dal Tempio alla Corte, Capolavori d'Arte Indiana» alla Casa dei Carraresi di Treviso nel 2013, da lui curata, che aprì una finestra sulle intersezioni fra estetica, religione e storia politica dell’India. Non dimenticherò mai quella mostra. Nel 2012, dopo essermi laureata con lode in Lingue e Culture del Medio Oriente e dell’Eurasia all’Università Ca’ Foscari (Venezia), avevo vinto una borsa di studio e mi ero trasferita a Londra per la magistrale. Ricordo come se fosse ieri di aver prenotato i biglietti d’aereo apposta per andare a Treviso con i miei ex-compagni di corso, e l’orgoglio che provammo per la scelta di specializzarci in un settore così ricco di suggestioni e iconografie folgoranti. 

Nel panorama contemporaneo, dominato da fiere, aste, piattaforme digitali e intelligenze artificiali, la chiusura della galleria Freschi lascia un vuoto tangibile. Il suo metodo, fondato sull’esperienza diretta, sulla conoscenza profonda delle opere e sulla loro contestualizzazione storico-culturale, rappresenta una pratica quasi scomparsa, sostituita da dinamiche di mercato più rapide ma spesso meno consapevoli. «Tanto sono stato occupato a scoprire nuovi reperti e le loro storie che non ho percepito lo scorrere del tempo», scrive Freschi con tono di commiato. Una frase che racchiude il senso di una vita dedicata all’arte come esplorazione e testimonianza.

La chiusura di questa galleria non è soltanto la fine di un negozio o di una carriera, ma la conclusione di una stagione culturale in cui il gallerista era ancora, prima di tutto, un mediatore di conoscenza. In quelle sale di via Gesù, resterà l’eredità di un uomo che ha insegnato all’Italia a guardare l’Oriente non come un altrove esotico, ma come parte integrante della storia globale.

Gentildonna cinese, XIX secolo

Beatrice Campi, 12 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

Il Sole d’Oriente tramonta a Milano: il saluto di Renzo Freschi | Beatrice Campi

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