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Joan Miró davanti al murale realizzato per il ristorante del Terrace Plaza Hotel di Cincinnati, 1947

© Arnold Newman/Getty Images

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Joan Miró davanti al murale realizzato per il ristorante del Terrace Plaza Hotel di Cincinnati, 1947

© Arnold Newman/Getty Images

Gli Stati Uniti e Joan Miró, un catalano internazionale

La Fundació Miró di Barcellona celebra il suo 50mo compleanno con oltre 160 opere che illustrano il legame tra l’artista e il paese oltreoceano

Roberta Bosco

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Gli Stati Uniti ritornano al centro del dibattito culturale, o almeno così sembra vedendo le mostre dedicate ad artisti statunitensi e al loro dialogo con l’Europa. Se il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid affronta il rapporto tra Pollock e Warhol e la trasformazione del concetto di spazio nella pittura («Warhol, Pollock e altri spazi americani» dal 21 ottobre al 25 gennaio 2026), la Fundació Joan Miró di Barcellona presenta dal 10 ottobre al 22 febbraio 2026 «Miró e gli Stati Uniti», una grande mostra prodotta in collaborazione con la Phillips Collection di Washington, che la accoglierà dal 21 marzo al 5 luglio 2026

«Nel 1982 Barbara Rose curò la rassegna “Miró in America” per il Museum of Fine Arts di Houston, ma questa è la prima grande mostra, dopo la morte di Joan Miró nel 1983, che prende in esame il suo rapporto con gli Stati Uniti. Inevitabilmente, la prospettiva e lo stato della ricerca sono cambiati significativamente dagli anni ’80. Il percorso di questa mostra va dalla metà degli anni ’20, quando i suoi dipinti furono esposti per la prima volta a New York, agli anni ’70, quando si inaugurò la Fundació Joan Miró a Barcellona», ha spiegato Matthew Gale, curatore della rassegna con il direttore della Fundació Miró, Marko Daniel, e Dolors Rodríguez Roig con la collaborazione di Elsa Smithgall della Phillips Collection. «La mostra, evento centrale del programma per il 50mo anniversario dell’apertura della fondazione di Barcellona, propone un dialogo intergenerazionale tra Miró e rilevanti artisti americani, mostrando come le loro pratiche creative si siano arricchite reciprocamente e abbiano contribuito allo sviluppo dell’arte del XX secolo», continua Gale, che ha condotto ricerche approfondite, per scoprire connessioni dirette attraverso cui esplorare queste interazioni artistiche. Gale ricorda che Miró, «uomo di straordinaria sicurezza e gentile modestia», nel 1961 dichiarò: «Sono stato profondamente influenzato dalla mia epoca», un’epoca particolarmente effervescente, come dimostra la straordinaria selezione di oltre 160 opere dell’artista catalano e di autori di diverse generazioni tra cui Louise Bourgeois, Helen Frankenthaler, Lee Krasner, Arshile Gorky, Alice Trumbull Mason, Jackson Pollock, Mark Rothko e molti altri, provenienti da collezioni americane ed europee, oltre che dalla collezione della Fundació Miró. 

«Questa nuova narrazione non solo rivisiterà l’eredità di Miró, ma metterà anche in luce l’importanza di molte artiste dell’epoca», sottolinea il team curatoriale, assicurando che si tratta di artisti essenziali nella ridefinizione dell’arte contemporanea, sia come modelli per altri artisti, sia come protagonisti di movimenti innovativi come la pittura gestuale, l’astrazione e l’Action painting. «Parliamo di un dialogo intergenerazionale perché, durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, Miró entrò in contatto con artisti di età e provenienze diverse. Non si tratta di un’eredità artistica astratta, ma piuttosto di legami reali con pittori, poeti, intellettuali, musicisti, scrittori, collezionisti e galleristi. Come molti altri artisti che si recarono negli Stati Uniti, Miró scoprì uno spazio di rinnovamento creativo, alimentato dall’incontro con figure di diversa estrazione culturale e di diverse generazioni», puntualizza Marko Daniel. 

La rassegna si concentra nel periodo compreso tra le due retrospettive di Miró a New York, nel 1941 e nel 1959, e tra i sette viaggi che l’artista fece negli Stati Uniti tra il 1947 e il 1968, che gli permisero di coltivare per tutta la vita le amicizie nate negli anni ’20. «Miró, che si dichiarava “un catalano internazionale”, negli anni ’20 fu rinvigorito dalla vivace cultura della Parigi tra le due guerre. Lì strinse amicizie e relazioni intellettuali che lo accompagnarono per tutta la vita e il francese rimase per sempre la lingua dei titoli delle sue opere. Tuttavia l’entusiasmo del pubblico e il riconoscimento della critica ufficiale arrivarono dagli Stati Uniti, come dimostrano le due retrospettive che gli dedicò il MoMA nel 1941 e nel 1959. Sentirsi accettato e apprezzato, oltre al supporto continuo e incondizionato del suo mercante Pierre Matisse, contribuirono a rivitalizzare il suo linguaggio, spingendolo verso le opere pubbliche e le sculture monumentali», indica Gale, ricordando che gli Stati Uniti furono anche il primo Paese a esporre le opere di Miró in un museo, il Brooklyn Museum nel 1926, e il MoMA fu il primo museo del mondo a dedicargli una retrospettiva nel 1941. Inoltre gli Stati Uniti offrirono a Miró un’incomparabile visibilità pubblica commissionandogli opere per importanti edifici e spazi pubblici, come il murale di Cincinnati o la scultura monumentale di Miss Chicago. «Abbiamo ottenuto prestiti straordinari e in ogni sala espositiva ci sarà un capolavoro straordinario», conclude Daniel.

Roberta Bosco, 07 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

Gli Stati Uniti e Joan Miró, un catalano internazionale | Roberta Bosco

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