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Luca Fiore
Leggi i suoi articoliRicco, solido, vivace. Il Fotofestiwal di Łódź si conferma una delle manifestazioni di riferimento della fotografia europea. A differenza di tanti altri eventi, quello organizzato nella terza città polacca non si è dato un titolo e ha scelto mostre e autori esclusivamente in base alla loro rilevanza, qualità e connessione con il presente. A Łódź viene il sospetto che, quando altrove si è costretti in un tema più o meno rigido (troppo spesso dettato da logiche lontane dalla realtà concreta della fotografia) si finisca per fare molti compromessi che si potrebbero evitare.
Ма tornando a questo festival: il nome di richiamo di questa edizione (la numero 24) è Yorgos Lanthimos, regista greco di «The Lobster» (2015) e «Povere creature!» (2023), che ha scelto la città polacca per la sua prima mostra europea da fotografo. Gli studenti della prestigiosa scuola di cinema locale, che tra i propri diplomati vanta nomi come Andrzej Wajda, Roman Polański e Krzysztof Kieślowski, hanno affollato la conferenza tenuta dal regista nei giorni inaugurali: molte domande, qualche risposta interessante.
Altra guest star del programma è stato il fotografo, graphic designer e editore newyorkese Jason Fulford a cui è stato chiesto di rianimare l’edificio di età sovietica che ospita l’ex piscina dello Ymca oggi in disuso. L’artista ha dato fondo allo humor elegante e giocoso delle immagini del suo ultimo libro, Lots Of Lots (Mack, 2025). Le «photogrid» di scatti quadrati, con cui Fulford omaggia Sol LeWitt, richiamano ironicamente i tasselli di mosaico che coprono le pareti della piscina.
Bella sorpresa la mostra «Anima Mundi», dell’artista di Budapest Máté Bartha. Artista giovane ma molto solido (vincitore del Louis Roederer Discovery Award ai Rencontres d’Arles nel 2019), Bartha mette in scena una versione a parete dell’omonimo libro pubblicato l’anno scorso da The Eriskay Connection. Si tratta di una mappa, un po’ esoterica, di una metropoli archetipica, in cui mistero e ironia si compenetrano. Lavoro colto, fitto di rimandi alla filosofia, radicato in un talento fotografico cristallino.
Emergono in modo organico, poi, dalla relazione di coppie di progetti molto diversi due temi di grande attualità. Il primo è quello della rivolta. Da una parte con la mostra di fotolibri, intitolata «In protest we trust», curata dall’italiano Luciano Zuccaccia, che ha selezionato i pezzi migliori della propria collezione di volumi dedicati al dissenso e la resistenza in ogni parte del mondo. In piena risonanza, accanto, il progetto «Landing», dell’americano di origini palestinesi Maen Hammad che documenta la vita degli skater in Cisgiordania e la loro pratica intesa come atto di resistenza contro l’oppressione.
L’altro tema «spontaneo» è quello la messa in discussione dell’uso di certe forme di finzione che si realizzano nella vita pubblica. Michał Sita, artista di Poznań, documenta con «History of Poland», il decennale evento di rievocazione storica del piccolo villaggio di Murowana Goślina, dove migliaia di persone assistono alla recita degli eventi chiave della narrativa che si propone come base dell’identità nazionale. Altre messe in scena sono quelle indagate dall’americana Debi Cornwall: villaggi simulati del Medio Oriente, realizzati nelle basi americane, dove si mettono in atto giochi di ruolo per addestrare i militari agli scenari di guerra. Ma anche, secondo la stessa logica, gli addestramenti delle forze di confine realizzati con l’uso di attori ispanici, cittadini Usa, che interpretano la peggiore versione dei potenziali migranti. Si domanda Cornwell: in che modo la messa in scena, la recitazione e il gioco di ruolo influenzano le idee sulla cittadinanza in una terra violenta, dove la popolazione non è più d’accordo su cosa sia vero?
Profonda e sofisticata la mostra «Secret Performance» di Sophie Thun, nella sede del locale Muzeum Sztuki (fino al 26 ottobre), che fa dialogare opere di grande formato dell’artista austriaca con la collezione di arte contemporanea del museo (bravi i curatori Daniel Muzyczuk e Franciszek Smoręda). Tra i progetti satellite si segnalano anche quello su una gloria locale, l’artista femminista Ewa Partum, una sorta di Marina Abramović attiva nella Łódź comunista degli anni Settanta.
Un programma fresco, senza sbavature. Accessibile anche per chi abita fuori dalla bolla dei fotografi. Peccato solo che il festival duri 10 giorni: inaugurato il 12 giugno chiude già domenica 22. Forse troppo poco per uno sforzo così grande.

Jason Fulford, «Lots Of Lot»