Dal 7 settembre, nella sala Scarpa del Museo Revoltella di Trieste, è esposta la mostra dedicata alla donazione Luciani, annunciata fin dallo scorso maggio. I 116 dipinti che i coniugi Annamaria e Luciano Luciani hanno donato al comune di Trieste, dopo averli acquistati in blocco dalla casa d’asta Stadion pochi giorni prima che fossero messi in vendita, sono visibili fino al 13 ottobre, quando sarà avviato un cantiere riqualificativo per rendere più moderno e accogliente il museo triestino.
Le opere donate, nel loro insieme, rappresentano una significativa testimonianza dell’originalità della pittura triestina prodotta tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del ’900, in un momento in cui la città giuliana conosce un grande sviluppo economico e culturale e gravita nell’orbita dell’impero austroungarico. Proprio il legame con il mondo nordico, in particolare con i movimenti secessionisti di Monaco e Vienna, è l’elemento che qualifica l’arte triestina di questo momento (molti artisti locali si formano nei due grandi centri oltralpini) e che quindi caratterizza gran parte dei dipinti esposti, comprendenti un’ampia varietà di generi: ritratti, vedute, nature morte e scene allegoriche. Tutte le personalità più rilevanti della pittura locale figurano in questa raccolta, che si presenta come un’antologia dell’arte triestina a cavallo tra i due secoli.
Nella ritrattistica spiccano i nomi di Arturo Rietti (1863-1943), Arturo Fittke (1873-1910) e Gino Parin (1876-1944), capaci di combinare raffinata tecnica pittorica e sottile indagine psicologica. In particolare, del primo, autore di affascinanti ritratti a pastello della società mondana di inizio secolo, si segnala «Bellezza e maschere» (1907 ca), la cui tecnica e stile suggeriscono punti di contatto con la produzione ritrattistica del pittore tedesco Hugo Von Habermann, conosciuto da Rietti negli anni formativi all’Accademia di Monaco.
Cospicuo poi il numero delle vedute, in particolare di Trieste, eseguite da pittori come Ugo Flumiani, Giovanni Zangrando, Romano Rossini e Giuseppe Barison. In questo ambito si distingue anche Piero Marussig (1879-1937), tra i fondatori del Novecento italiano. Prima di aderire a tale movimento, il pittore però realizza, tra 1914 e ’17, una serie di vedute della città dalla sua villa di Chiadino, nella parte alta di Vicolo Scaglioni, impegnato in una ricerca coloristica di matrice fauve e secessionista, come esemplificato da «Paesaggio con mamma» del 1914.
Degne di menzione sono pure le nature morte realizzate dallo stesso Marussig («Natura morta con salvadanaio», 1918 ca) e, soprattutto, da Bruno Croatto (1875-1948), che raggiunge esiti quasi iperrealistici in «Rose nel vaso decò» del 1938, ben rispondente alle atmosfere sospese e magiche della pittura italiana degli anni Venti e Trenta. A questa stessa temperie novecentista appartengono le opere di Giannino Marchig («Nora Grandi in poltrona», 1920; «Ritratto con vaso», 1923) e di Dyalma Stultus («Pensierosa sulla sedia»; «Contadinella con frutta»).
Una sezione autonoma, all’inizio del percorso espositivo, è invece riservata a Vito Timmel (1886-1949), una delle personalità artistiche più inquiete ed eccentriche dell’ambiente triestino, capace forse più di altre di incarnarne l’anima mitteleuropea, presente con nove opere. Nato a Vienna e dotato di una cultura figurativa composita, Timmel traspone nelle tele il proprio disagio interiore, documentato dal «Magico Taccuino», sorta di diario poetico del suo personale dramma. Tra i dipinti esposti, vanno segnalati «Mare rosso» (1923-24) e la grande tempera su tela, «L’incomunicabile (sogno)» (1932), appartenente al periodo più buio della vita del pittore, perseguitato dai suoi fantasmi interiori. Alla visione carica di simbolismo autobiografico, si aggiunge la raffinata e sapiente tecnica pittorica con la quale è eseguita l’opera, debitrice nei confronti del Puntinismo di derivazione francese.
Un’attenzione specifica è infine dedicata a Eugenio Scomparini (1845-1913), primo vero innovatore della pittura triestina e maestro di molti artisti locali, del quale sono presentati quattro dipinti. Il talento decorativo e scenografico di Scomparini, che si nutre della lezione tiepolesca, pur aggiornandola alla luce delle tendenze di gusto più moderne, si esprime nelle due grandi tele «Allegoria del Lavoro», collocabile alla fine del primo decennio del ’900 e «Il cantastorie», che, nel cielo dorato e nella presenza di elementi floreali, mostra la conoscenza del linguaggio fortuniano, risalente al soggiorno romano del pittore tra 1874 e 1877.
Conclusa la mostra, le opere della donazione saranno esposte a rotazione in uno spazio permanente del museo. Quest’ultimo, dopo il successo di pubblico ottenuto con le mostre, conclusesi a giugno, dedicate a Van Gogh e a Ligabue, sarà oggetto di importanti lavori finalizzati a migliorarne complessivamente i servizi e la funzionalità. Con un investimento di 1,2 milioni, provenienti sia dai fondi Pnrr sia dagli introiti della tassa di soggiorno, gli interventi, da realizzare nell’arco di un anno, prevedono il potenziamento dell’accoglienza (biglietteria, bookshop, depositi), la riqualificazione della sala Scarpa, destinata alle mostre temporanee, la sistemazione dell’Auditorium Sofianopulo e la creazione di un punto di ristoro. Coinvolti nel programma di riqualificazione, anche gli stessi ambienti espositivi della galleria, che saranno rinnovati con nuovi impianti d’illuminazione e dotati di un migliore apparato didascalico e segnaletico. Si dovrebbe cominciare proprio dal quinto piano, dedicato al primo ’900, oggetto di un riallestimento anche in vista del prossimo ingresso della donazione Luciani.