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Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoliIn un mondo complesso, diviso, carico di conflitti e violenza, l’arte prova a dire la sua. «Matermània/Matermanìa», la nuova mostra collettiva inaugurata ad Atipografia, nel centro di Arzignano (Vicenza), fino al 24 gennaio, un luogo che ha portato la bellezza in un contesto di degrado urbanistico, ci prova. La mostra, con un titolo ispirato alla Grotta di Matermania a Capri, luogo sacro dedicato alla dea Cibele (Magna Mater), simbolo primordiale di maternità, è la prima di una trilogia curata dalla stessa titolare dell’associazione culturale e galleria d’arte, nata dalle ceneri di una vecchia tipografia, Elena Dal Molin, insieme a Marco Mioli. «L’idea è quella di mettere in evidenza il sacro come elemento essenziale dell’arte, spiega Dal Molin, in un momento storico in cui la contemporaneità tende ad allontanarsi da questa prospettiva, guidati dal pensiero che l’arte sia un gesto di esplorazione della complessità e della tridimensionalità dell’essere umano».

Marta Allegri, «Eva», 1999
In questo primo appuntamento a essere chiamati a riflettere sulla «dimensione emotiva della maternità e sulla sua forza espressiva, capace di aprire varchi nell’intimo ma anche di costruire un senso di collettività, affrontando i temi della vita, della nascita e della generazione», sono artisti già ospiti della galleria, come Gregorio Botta (Napoli 1953), che apre la mostra con un’opera inedita in alabastro, dove l’idea di annunciazione è affidata alla trasparenza dei materiali, Mats Bergquist (Stoccolma, 1960) che affronta il tema della maternità in «Venus» con la tecnica dell’encausto, Diego Soldà (Arzignano, 1981), con una scultura realizzata nel corso di diversi anni, attraverso un processo di stratificazione di tempera di diversi colori, dal titolo evocativo «Madre» (2020-2023), e Stefano Mario Zatti (Padova, 1983). Tra le sue opere, «Efrem» documenta la crescita del figlio attraverso un gesto rituale: dal giorno della sua nascita (2017), a ogni luna piena, ne disegna con i pastelli colorati la sagoma. Tre i lavori di Marta Allegri (Bologna, 1961), mentre Zeljana Vidovic (Lussin Piccolo, Croazia, 1982) porta le ceramiche della serie «Amare» (2023-2024). «Forse senza rendercene conto, continua Dal Molin, viviamo in un mondo sempre più bidimensionale, dove l’annullamento della superstizione ha finito per cancellare anche l’estasi, la gloria, il senso del sacro. Il primo atto di resistenza è proprio nel dare alla luce, la maternità: il primo atto collettivo». «La nascita, conclude Mioli, è un gesto che trascende l’individuo: nella maternità vivono l’io e il noi, è l’evento intimo da cui nascono legami, società, cosmogonie».