«Gli immortali» (2022) di Carlo Zoli da «L’infinito volgere del tempo»

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«Gli immortali» (2022) di Carlo Zoli da «L’infinito volgere del tempo»

Carlo Zoli modella l’infinito

Nello spazio milanese di HUB/ART in mostra ventotto opere in argilla, l’ultimo ciclo di lavori realizzato dall’artista faentino che esplora lo scorrere ciclico del tempo

L’infinito è un concetto complesso e di cui non possiamo fare diretta esperienza, difficile da elaborare e ancor più da immaginare e comprendere in una mente finita, come lo è quella umana. Eppure la matematica, la filosofia, la poesia, l’arte e la musica ci si confrontano da sempre, sin dai tempi antichi, dandogli talvolta accezioni positive, talvolta negative, arrivando, in alcuni casi, persino a negarne l’esistenza. A confrontarsi con questa affascinante e misteriosa entità, con la sua incarnazione nel ciclo dell’eterno ritorno è lo scultore faentino Carlo Zoli, che a Milano, nello spin-off di HUB/ART (in via Nerino 2), dal 9 maggio al 15 giugno presenta la personale curata da Greta Zuccali, corredata da testo critico di Luca Nannipieri e dedicata al suo ultimi ciclo di opere intitolato, come la mostra, «L’infinito volgere del tempo»: ventotto pezzi unici in terracotta policroma rifinita con smalti, patine, resine e metalli preziosi a raffigurare l’umana esistenza attraverso miti e passioni. Con un approfondimento dedicato nella quinta edizione di YouNique–Fine Craft Art & Design a Lugano, una monografica conclusasi lo scorso aprile a Firenze nella sede della Regione Toscana, il premio per la categoria ceramica alla XIV Florence Biennale, Carlo Zoli, nato a Bari nel 1959, vive e lavora a Faenza dal 1967. «Tutto inizia da un minutissimo granello, testimone di storie antiche, minerali e altre ricchezze della terra. Per Zoli produrre è come una preghiera, un esercizio spirituale di auto bilanciamento che prende avvio nella solitudine del suo laboratorio, nel momento in cui le mani, con la loro unica capacità di modellare l’argilla fino a darne le fattezze del bronzo, affondano in quei sacchi densi di materia creativa. Modellando la materia viva dell’argilla, conferisce anima e forma a un paesaggio popolato da figure, talvolta enigmatiche e fantastiche, altre volte ancorate al mito classico, alla letteratura cavalleresca o alle tradizioni cristiane, sempre immaginando un mondo parallelo a quello reale», spiega la curatrice. «L’arte di Zoli nasce impastando le dita delle mani nell'argilla. La tradizione di famiglia e del contesto geografico romagnolo, caratterizzato dalla produzione ceramica, è stato l’humus in cui è cresciuto, sollecitato, oltre che dai classici, anche dal confronto con le sculture di contemporanei come Francesco Messina e Augusto Murer, dei quali ha studiato la plasticità, la possibilità di riuscire con pochi tratti, a volte non rifiniti, a generare energia vitale. Zoli non ama lavorare il marmo, la pietra, che è il materiale di preferenza nella storia della scultura. Il motivo lo dice lui stesso ed è molto interessante trascriverlo: l'artista lavora in silenzio. La pietra è rumorosa mentre viene scolpita. L’argilla, invece, è silenziosa, si lascia maneggiare nella quiete, permettendo a Zoli quell'intimità di creazione, quel non aver distrazioni di suono, che sono la condizione più ideale in cui far fermentare i suoi lavori», aggiunge Nannipieri.

«L’Angelo ribelle» di Carlo Zoli

«Sangue vitale» di Carlo Zoli

L’elemento circolare, che nega l’esistenza di un tempo lineare in cui tutto ha un inizio e una fine a favore di un concetto dell’eterno ritorno, è alla base del suo lavoro esposto. Un ciclo fatto di quiete e tempesta, di luce e oscurità. «Come in una moderna genesi, il suo è un lavoro al tempo stesso concreto e mistico, di forgiatura e introspezione, ogni elemento ricopre un ruolo fondamentale nella sinfonia della creazione. Sorprendentemente vasto, eppure governato da leggi matematiche semplici, eleganti e universali, il tempo scandisce la nostra vita e ancora una volta ci ricorda che tutto passa e ritorna, nulla scompare per sempre, ma si trasforma in un infinito mutare di forme e significati», prosegue la curatrice. Frutto di una plasticità capace di fondere regole e proporzioni dell’antica tradizione classica con le tensioni formali del modernismo, le opere di Zoli riflettono nelle proprie linee e nella propria stratificazione materica la complessa struttura del tempo e la sua relativistica percezione. La gestualità dell’artista che manipola l’argilla si somma al tempo necessario della sedimentazione di gessi, patine e resine, che conferiscono al suo lavoro una pelle vagamente informale. La maggior parte delle opere esposte è iscritta dentro un cerchio, la figura geometrica che rappresenta la perfezione cui l’uomo e l’artista vanamente aspirano, la forma che non ha inizio e non ha fine, che è allo stesso tempo finita e infinita. Una circolarità che ricorda inoltre la cifra del numero zero, che rappresenta invece il nulla, il vuoto, la pausa, il silenzio all’interno di cui il tutto è contenuto. E dentro il cerchio sono comprese di volta in volta le varie figure cui Zola dà vita, l’Angelo ribelle, per esempio, che cade di schiena, punito, esiliato, con le ali sfilacciate incapaci di sostenerlo, di attutire lo schianto sulla terra rappresentata dal quadrato ferroso che fa da base alla scultura. A bilanciare l’energia della caduta e la vertigine del vuoto, una piccola sfera piena e dorata sale verso l’alto, evidenziando il vorticoso dinamismo di forze che agitano e governano la composizione.

«A ciascuno il suo destino» di Carlo Zoli

«Beltà» di Carlo Zoli

Tra le tante opere dell’artista meritevoli di un approfondimento vi è anche «Beltà», ispirata al mito di Narciso. Il riflesso della sua immagine è restituito da un azzurro corso d’acqua, ma parecchio più indietro dell’altezza del suo volto. Così Zoli allude al senso dell’eterno mutamento condensato da Eraclito nel concetto del panta rei: la bellezza diventa qui un’ombra fugace, lo stato di una condizione transitoria, uno spettro evanescente. I volti dei soggetti rappresentati da Zoli non sono mai troppo realistici, ma più simili a maschere, «L’arte trasfigura il reale per permetterci uno sguardo più a fondo nel reale stesso. Finge, ma è una finzione a specchio: la realtà è più rappresentata se viene finta. E quella di Zoli non è la finzione del grottesco, della caricatura. È la finzione assai complessa che parte dalla rilettura dei miti, ma che non si riduce e non vuole ridursi all’esegesi puramente scenografica del mito», spiega il critico Luca Nannipieri. «A ciascuno il suo destino», una giovane donna in piedi, girata su un fianco, con le braccia aperte e distese, alza di volta in colta la destra o la sinistra, per dispensare buona o cattiva sorte; «Il sangue vitale», metafisica alchimia su fondo blu dove tutto prende forma, uomini, pianeti e animali, ogni cosa esistente è fatta della medesima materia che ha origine nelle stelle; «Dio Pan», divinità dei boschi e dell’istinto naturale, potente, selvaggio, gioviale e generoso, con zampe caprine e torso umano, è sospeso in un perfetto equilibrio, nella perfetta metà di un cerchio, in un perfetto bilanciamento tra le pulsioni bestiali e l’umana ragione; e poi «Gli immortali», «Conosco i segni dell’antica fiamma», «L’altra metà di me»: «da una parte creature eteree e armoniche, dall’altra soggetti viscerali e battaglieri, lavorati con minuzia di dettaglio e nati con l’intento di evocare sentimenti e sensazioni che caratterizzano la più autentica essenza umana, quella che originando dalle profondità della terra a essa tornerà. I due corni della fiamma creativa di Zoli, presenti lungo tutto il percorso espositivo, sono inseriti in un cosmo più ampio e sfuggente, quello del Tempo, da ultimo esplorato dall’artista e al centro di questa esposizione intitolata “L’infinito volgere del tempo”», conclude Greta Zuccali.

  

«Dio Pan» di Carlo Zoli (particolare)

«Dio Pan» di Carlo Zoli

Jenny Dogliani, 14 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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Carlo Zoli modella l’infinito | Jenny Dogliani

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