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Riccardo Deni
Leggi i suoi articoliC’è un nero che inghiotte e uno che rivela. Un nero che assorbe ogni cosa e un altro che pulsa, si muove, cambia. Inizia così il cammino di Mazzoleni nella sua nuova sede milanese: «Nero x Nero», una mostra che non è solo un’esposizione, ma una dichiarazione d’intenti. Un prologo in chiaroscuro, scandito dalle opere di Alberto Burri e Nunzio, sotto la cura di Bruno Corà, presidente della Fondazione Burri e voce critica che da anni accompagna il lavoro di entrambi. Scelta non casuale, come casuale non è la selezione dei due artisti. Burri e Nunzio sono presenze che abitano la storia della galleria da tempo. Burri, in particolare, è una figura quasi totemica per Mazzoleni, da decenni protagonista della sua programmazione, da Torino a Londra. Nunzio, più giovane ma non meno radicale, ha manifestato la propria voce con due personali nella sede londinese, l’ultima delle quali nel 2023, con una selezione di disegni inediti. Due artisti che, pur distanti per generazione e linguaggio, condividono un terreno comune: il nero come spazio poetico e alchemico, la materia come veicolo di trasformazione.
Nel cuore della mostra si muove un dialogo silenzioso, quasi un rituale. Da un lato Burri, con la sua ossessione per il nero, presente già nel 1948 in «Catrame 1», la prima opera che l'artista allestì personalmente a Palazzo Albizzini, a Perugia. Un nero che non è semplicemente colore, ma profondità cosmica, abisso, che Burri brucia, scioglie, lacera con il suo "pennello infernale". E nel farlo, eleva la materia a forma pura, spesso segnata da ferite che non si rimarginano, ma brillano come gemme oscure. Dall’altro lato Nunzio, che pure lui al nero ha dedicato una vita intera. Ma il suo è un nero diverso. Non il buio che incombe, ma quello che rimane, come un fossile. Anche lui lavora col fuoco, ma lo fa con un intento quasi ascetico. Brucia il legno non per distruggerlo, ma per trasformarlo. E poi c’è il piombo, altro materiale prediletto. Pesante, inerte, ma capace di rifrangere la luce, di cambiare aspetto secondo l’occhio che guarda. È nella dialettica tra legno bruciato e metallo cangiante che si gioca tutta la forza del suo linguaggio, teso tra rigore formale e tensione spirituale.
«L’opera di Nunzio», scrive Corà, «dialoga con quella di Burri nell’attenzione alla forma come entità etica che si sottrae al tempo». In effetti, c’è qualcosa di immobile e insieme vibrante in queste opere, come se entrambe le ricerche cercassero la stessa cosa: un varco, una fenditura nel nero, da cui possa trapelare qualcosa di irriducibile, forse sacro. Tra le opere in mostra, «Nero Cretto» (1970) e «Nero e Oro» (1993) di Burri rappresentano due poli opposti ma complementari. Se il primo è una distesa scabra e crettata, quasi un deserto lunare, il secondo è un’apoteosi di contrasti: la superficie nera in cellotex si apre all’improvviso alla luce dell’oro, in un cortocircuito visivo che rimanda alla tradizione musiva bizantina. Il sacro e il profano, il peso della materia e la leggerezza del simbolo. Nunzio risponde con «Avvoltoio» (2019), scultura che pare emergere da un’eruzione interiore, sospesa tra forma e dissoluzione. E con un’opera nuova, pensata appositamente per lo spazio milanese, che ribadisce il suo talento nel riscrivere il vocabolario della scultura italiana. Qui il fuoco non è solo elemento fisico, ma mitologia personale, intesa come fiamma che scava, annerisce, scolpisce. Ogni superficie è una pelle che ha attraversato l’inferno e ne è uscita diversa.

Nero x Nero. Burri e Nunzio, 2025. Mazzoleni, Milano. Credits Gabriele Abbruzzese. Courtesy Mazzoleni

Nero x Nero. Burri e Nunzio, 2025. Mazzoleni, Milano. Credits Gabriele Abbruzzese. Courtesy Mazzoleni

Nunzio, Avvoltoio,2019, Pigment and combustion on wood, 238 x 252 x 130 cm_install shot_Credits Todd White Studio. Courtesy Mazzoleni