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Riccardo Deni
Leggi i suoi articoliAi piedi del Monte Cimone, vicino alle rive del torrente che attraversa Fanano, Michele Ciacciofera ha consegnato alla comunità «L’altare del Tempo e dell’acqua feconda».
L’installazione monumentale, realizzata con le pietre del fiume, cambia il volto del comune modenese che accoglie la prima grande scultura di Land art dell’Emilia Romagna.
Di seguito la conversazione con la curatrice Bianca Cerrina Feroni che ci racconta il progetto cominciato più di un anno fa.
Com’è nato questo progetto, che oggi rappresenta la più imponente opera di Land Art in Emilia Romagna?
Dal 1983, a Fanano, bella cittadina immersa nel parco naturale dell’Appennino modenese, si tiene un Simposio di Scultura – anche di respiro internazionale – che negli anni ha lasciato numerose opere disseminate sul territorio. Dopo una pausa di sette anni, nel 2024 il Simposio è stato ripreso con l’intenzione di rinnovarne il linguaggio, rendendolo più attuale sia nelle forme che nei temi. Da qui la decisione di invitare un artista internazionale. Michele Ciacciofera è molto conosciuto all’estero –ha partecipato alle Biennali internazionali più importanti e vive a Parigi – ma è anche italiano: rappresentava il profilo ideale.
Che tipo di intervento ha immaginato per Fanano?
Come è nella sua pratica, Michele ha voluto creare un’opera strettamente legata alla storia e alla natura del luogo. L’altare del Tempo e dell’acqua feconda è pensato come un’architettura simbolica che protegge uno degli elementi vitali per eccellenza, l’acqua, e celebra la forza e l’importanza della pietra, testimone del passaggio del tempo nonché elemento fortemente identitario per la comunità. Da sempre attento ai temi ambientali, l’artista ha concepito l’opera come un atto di tutela, un invito a riflettere sul rapporto tra uomo, territorio e risorse naturali.
Da dove ha tratto ispirazione per questi totem, forme che rimandano a un passato antico ma che parlano anche al nostro presente?
Le forme scelte da Michele hanno radici profonde. Sono ispirate a elementi arcaici, archeologici, ma l’artista li reinterpreta con lo sguardo del contemporaneo, traducendo le urgenze del nostro tempo in un linguaggio simbolico. Originario della Sardegna – un’isola che un altro artista da lui molto amato, Pinuccio Sciola, ha definito “figlia della pietra” – Michele porta nel proprio DNA la memoria dei menhir: sculture megalitiche che, nel mondo antico, fungevano da strumenti di connessione tra l’uomo e il cosmo, tra il finito e l’infinito.

Michele Ciacciofera, «L’altare del Tempo e dell’acqua feconda» @ Foto Roberto Leone
Anche la scelta del numero delle sculture sembra significativa.
Sì, l’artista ha voluto realizzare otto monoliti. Non è un numero casuale: l’otto, ruotato, è il simbolo dell’infinito. È una cifra che richiama l’idea di ciclicità, di rigenerazione continua. I monoliti si impongono con la loro verticalità e forza, evocando un passato ancestrale in cui l’acqua non era solo risorsa vitale ma anche oggetto di culto, di sacralità. Le otto coppelle scavate sulla base dell’altare richiamano questi antichi rituali. In questo senso, l’opera si fa ponte tra passato e futuro: ci ricorda che la natura non è solo un ambiente da abitare, ma un equilibrio da rispettare.
In che modo, secondo lei, quest’opera ci interroga sul presente?
L’altare del Tempo e dell’acqua feconda è un invito alla consapevolezza. In un’epoca segnata da crisi ecologiche, siccità e dissesto ambientale, l’acqua torna a essere al centro del discorso non solo come risorsa materiale, ma come simbolo di vita, connessione, possibilità. L’opera ci chiede di rallentare, di osservare, di riconoscere la sacralità dei beni naturali. È un gesto artistico ma anche etico, che propone un altro modo di relazionarsi al mondo.
Un'opera poetica, ma non solo.
Michele ha uno sguardo profondamente poetico, ma le sue opere hanno sempre un risvolto politico. Il messaggio che veicolano è complesso. Richiamandosi alle parole di Nelson Mandela,Ciacciofera ci ricorda che l’acqua – insieme alla pietra – è ciò che ha permesso all’umanità non solo di sopravvivere, ma di evolversi, di costruire civiltà, di dare forma a relazioni sociali complesse. Parlare di acqua significa parlare di democrazia, di uguaglianza: è un diritto fondamentale, che deve restare accessibile a tutti. «Senza acqua non c’è futuro» , dice Ciacciofera. E questo messaggio, oggi, è più urgente che mai.

Michele Ciacciofera, «L’altare del Tempo e dell’acqua feconda» @ Foto Roberto Leone
Non è un caso, infatti, che l’artista sia stato invitato alla prossima Biennale di San Paolo.
Esatto. Michele sarà l’unico artista italiano presente alla 36ª Biennale di San Paolo, sostenuto dalla Francia. La manifestazione sarà incentrata sul tema dell’umanità intesa come pratica e relazione, con una sezione dedicata proprio agli “spazi di incontro”, ispirata agli estuari dei grandi fiumi, dove le acque si incontrano e si mescolano. È una visione in perfetta sintonia con la poetica di Ciacciofera: un’arte che unisce, che crea legami.
È la sua prima opera pubblica?
Ciacciofera ha già realizzato opere pubbliche in Francia, a Gennevilliers, e anche in Italia, a Catania e a Retorbido. Ma questa è la prima volta che si confronta con queste dimensioni, immerso nella natura. E soprattutto, più che ‘collocare’ un’opera nello spazio pubblico per il solo godimento estetico, l’intento era quello di creare qualcosa per e con la comunità, in ascolto del territorio e della sua storia. Non si trattava di installare un oggetto artistico destinato a diventare familiare col tempo, ma di far nascere un’opera creata assieme al paesaggio stesso. Le pietre sono state infatti selezionate e impilate cosi com’erano e saranno poi nuovamente modificate dall’intervento degli agenti atmosferici.
Un processo di vera collaborazione con la natura.
Sì, L’opera è frutto di una attenta osservazione del territorio. Di fronte a questi totem immersi tra il suono degli alberi mossi dal vento e dell’acqua che scorre, si compie una sorta di risveglio. L’opera ci mette alla prova nella nostra capacità di provare qualcosa. L’apparente passività della vita contemplativa ci mette in realtà di fronte a una forza vitale da riscoprire e vivere con più consapevolezza.