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Una mostra ispirata dalla presa di posizione di Donald Judd a favore del caos e della casualità nell’arte
- Francesca Petretto
- 15 dicembre 2018
- 00’minuti di lettura


«Man Installing Pepsi-Sign», (1973) di George Segal
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Una mostra ispirata dalla presa di posizione di Donald Judd a favore del caos e della casualità nell’arte
- Francesca Petretto
- 15 dicembre 2018
- 00’minuti di lettura
Francesca Petretto
Leggi i suoi articoliL’artista americano Donald Judd (1928-94) negli anni fra il 1957 e il 1963 si dedicò quasi esclusivamente alla critica d’arte, pubblicando diversi saggi e articoli: fra questi ultimi, nel 1964, uno divenuto poi celebre, «Local History» per il «New York Times», dedicato alla scena artistica newyorkese contemporanea. Le parole chiave di quel pezzo furono «caotico» e «disordine»: «La storia dell’arte e le condizioni dell’arte in qualsiasi momento sono piuttosto confuse. [...] Si può pensare ad esse quanto piace, ma non diventeranno più ordinarie [...] Le cose possono essere diverse e dovrebbero rimanere diverse». Quelle parole aprirono uno squarcio in secoli di storia dell’arte che volevano stili e generi canonizzati, artisti incasellati per categorie, regola ed ordine in un mondo libero per definizione.
La presa di posizione di Judd a favore del caos e della casualità nell’arte, il suo racconto alternativo di possibili incontri informali fra autori e opere, hanno ispirato la mostra aperta dal 15 dicembre al 29 settembre 2019 presso la Hamburger Bahnhof - Museum für Gegenwart, con l’efficace titolo «Local Histories».
La storia locale della New York anni ’60, focus dello scritto di Judd, diventa oggi a Berlino il racconto di storie locali differenti, geograficamente lontane eppure spesso così vicine nelle loro espressioni artistiche. Si provano a tracciare le possibili relazioni che hanno legato gli artisti contemporanei (dagli anni Sessanta agli anni Novanta), ponendosi come obiettivo la risposta ad alcuni quesiti chiave: qual è il filo conduttore del collezionismo e della politica delle gallerie d’arte nella seconda metà del XX secolo? Che cosa unisce Konrad Lueg, Sigmar Polke e Gerhard Richter? Quale arte influenzò lo stesso Donald Judd? Quali gallerie hanno supportato Bruce Naumann o Jenny Holzer nei loro primi anni di carriera?
Grazie ai prestiti della Friedrich Christian Flick Collection (momentaneamente a Berlino), di altri importanti musei internazionali, e attraverso molte opere della Neue Nationalgalerie di cui la Hamburger Bahnhof è in parte sede espositiva, si palesano interessanti, talvolta inattese costellazioni di lavoro e carriere, istantanee di incontri fra le così distanti scene artistiche di New York e Düsseldorf negli anni 1960-70, o fra quelle di Berlino e Colonia negli anni Ottanta o nella sola, immensa megalopoli di Los Angeles nell’ultimo decennio del Novecento.

«Man Installing Pepsi-Sign», (1973) di George Segal