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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliLa rivoluzione femminile, esplosa nella seconda metà del ’900, ha i suoi prodromi già al suo inizio, incarnati da eroine che hanno infranto, da sole, regole ferree e millenarie. Tra queste, l’American Academy in Rome ne celebra sei, cui dedica la mostra, aperta fino al 9 novembre, «Women and Ruins: archeology, photography and landscape». Le sei donne sono archeologhe e studiose del mondo classico che hanno accompagnato i loro studi e viaggi con fotografie, ordinate per la prima volta in questa mostra. Gli scatti rispondono tanto a esigenze di documentazione scientifica che a fini d’ordine più estetico e contemplativo, soprattutto quando il reperto antico viene a trovarsi incorniciato dalla natura. Altre volte è lo sguardo sociologico a impegnare le studiose, con immagini che ritraggono il popolo al lavoro, come operai addetti agli scavi o contadine sui campi. Lo sfondo è quasi sempre Roma, altrimenti l’Italia meridionale o Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Fatto sta che, prima di queste sei archeologhe fotografe, le donne non avevano accesso alle sfere dell’intellettualità impegnata nello studio dell’antico. Loro, quindi, cambiarono anche il volto e la storia dell’archeologia. Chi sono le sei?
La prima per rilievo ed esiti professionali riconosciuti già in vita, è Esther Boise Van Deman (1862-1937), archeologa americana, che dedicò studi e scatti soprattutto all’analisi dettagliata delle tecniche costruttive romane. Oggi è anche nota per le indagini fatte sulla Casa delle Vestali nel Foro Romano. Sua allieva ed erede morale fu la docente statunitense di Lingue classiche e borsista nel 1925 proprio presso l’American Academy in Rome, Marion Elizabeth Blake (1892-1937). Britanniche erano invece le sorelle Agnes (1856-1940) e Dora (1864-1948) Bulwer. Attive nei circoli romani di intellettuali e archeologi, realizzarono cicli fotografici per illustrare pubblicazioni scientifiche. D’oltremanica era anche l’archeologa e diplomatica Gertrude Bell (1868-1926), amica di Giacomo Boni, che guidò gli scavi del Foro Romano, conferenziera e grande conoscitrice, oltre che di Roma antica e dell’Italia, dei Paesi mediorientali: tra l’altro, contribuì alla nascita dell’Iraq Museum. L’unica italiana è Maria Pasolini Ponti (1856-1938), sostenitrice dell’istruzione delle donne, appassionata fotografa anche della campagna romana.
L’attività di queste sei donne venne a innestarsi nelle grandi trasformazioni dell’Italia post-risorgimentale, e soprattutto di Roma, quale giovane capitale. I grandi piani regolatori, accrescendo e modernizzando l’urbe, determinarono anche fitte campagne di scavi e scoperte, sulle quali l’archeologia mondiale, maschile, e ora anche femminile, rivolsero l’attenzione. La mostra sarà accompagnata da un catalogo Allemandi, in uscita a settembre.

Marion Elizabeth Blake, «Via Valeria. Velino Mountain from Alba Fucens», 1947-61, American Academy in Rome, Photographic Archive