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Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoli«È possibile per un intellettuale essere libero? È mai stato possibile? Qual è la libertà dell’arte? Quando la libertà diventa un prodotto o un servizio, che libertà è?». Andrea Viliani sintetizza in queste domande il nodo critico attorno a cui si concretizza, e si fa opera, il lavoro di Andrea Fraser. Viliani, con Vittoria Pavesi e il coordinamento di Silvia Di Giorgio, cura la prima retrospettiva italiana dell’artista americana, classe 1965, scrittrice e pensatrice, la prima sua mostra interamente dedicata al tema del collezionismo, che indaga la figura del collezionista, il mercato dell’arte e le intersezioni tra istituzioni private e pubbliche.
«“I just don’t like eggs!” Andrea Fraser on collectors, collecting, collections», dal 13 aprile al 22 febbraio 2025 nella Fondazione Antonio Dalle Nogare, è il capitolo con cui si conclude la trilogia curata da Viliani in questa istituzione (su invito del 2021), seguendo le evoluzioni dell’Arte concettuale nel ventennio dalla fine degli anni ’60 alla fine degli ’80, con gli esordi di Fraser, passando attraverso il 1993 della 45ma Biennale di Venezia in cui l’artista rappresentò l’Austria insieme a Christian Philipp Müller e Gerwald Rockenschaub, fino a comprendere le sue opere recenti.
Andrea Fraser è «tra le artiste più radicali e influenti della sua generazione, continua Viliani. Il suo impegno pionieristico nel campo dell’Institutional Critique indaga le economie sociali, finanziarie e affettive delle organizzazioni, dei settori, dei gruppi e degli individui del mondo della cultura». Se artisti come Michael Asher, Daniel Buren o Hans Haacke sono stati espressione della prima generazione dell’Institutional Critique, quell’insieme di ricerche e pratiche artistiche fondate sulla critica alle istituzioni artistiche volte a mettere in discussione i meccanismi e le strategie del sistema dell’arte e a metterne in luce la mancanza di neutralità, le ambivalenze e le contraddizioni, Fraser ne esprime la seconda generazione, declinando la sua ricerca in chiave performativa e connettendola al corpo femminile e al contesto dell’attuale mix fra arte, economia, finanza, politica. Il titolo «I just don’t like eggs!», tratto dal testo della performance «May I Help You?», cita una collezionista d’arte ed evoca il linguaggio del collezionismo inteso come espressione di gusto e desiderio ma anche distinzione, possesso, categorizzazione, esclusività ed esercizio di potere.
Dal museo sotto osservazione, al museo in scatola: «La Boîte en Valise» di Marcel Duchamp è l’opera attorno a cui si svolge contemporaneamente nella stessa sede, fino al 28 dicembre, «Under the Spell of Duchamp», a cura di Eva Brioschi. La mostra ripercorre l’influenza lungo il ’900, come una specie di incantesimo (spell) di Duchamp, preconizzatore dell’Arte concettuale nel traslare l’opera dall’oggetto al processo creativo. Al primo piano una selezione di opere, per la maggior parte di recente acquisizione, della collezione Antonio Dalle Nogare: nella prima sala, in relazione con Duchamp, Christo, Kienholz, Breer, Cadere, De Maria. Nella seconda, Buren, Mosset, Parmentier, Toroni, Posenenske, Tilson, Garcìa Torres, Byrne, Broodthaers e Pietroiusti.