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Pietro Bellotti, «Parca Lachesi», 1654, Stoccarda, Staatsgalerie (particolare)

Foto Scala, Firenze/bpk, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin

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Pietro Bellotti, «Parca Lachesi», 1654, Stoccarda, Staatsgalerie (particolare)

Foto Scala, Firenze/bpk, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin

Alla riscoperta della «pittura della realtà» di Pietro Bellotti

Il poco noto e misterioso artista bresciano offre alle Gallerie dell’Accademia l’occasione di riaccendere i riflettori sulla «ricca stagione artistica veneziana del medio Seicento dopo la grande rassegna del 1959»

Un pittore ancora poco noto e tutto da scoprire, attivo a Venezia per la maggior parte della sua carriera: è il bresciano Pietro Bellotti (1625-1700), al centro della mostra «Stupore, realtà, enigma. Pietro Bellotti e la pittura del Seicento a Venezia», allestita dal 19 settembre al 18 gennaio 2026 alle Gallerie dell’Accademia di Venezia e curata da Francesco Ceretti, Filippo Piazza e Michele Nicolaci, curatore delle collezioni del Sei e Settecento del museo veneziano, che afferma: «La mostra non arriva isolata ma come parte di una progettualità di valorizzazione più ampia, il cui merito è soprattutto della direzione di Giulio Manieri Elia, con il riallestimento dei saloni del piano terra delle Gallerie, acquisti di nuove opere e convegni di studio».

Quasi una sfida: Pietro Bellotti, chi era costui?
Un artista che godette di stima e riconoscimenti in vita, oggi apprezzato per la sua straordinaria qualità pittorica da una nicchia; i suoi soggetti più tipici sono ritratti di persone umili, di poveri, vecchi medicanti e pellegrini, temi tipici della cosiddetta «pittura della realtà». Negli ultimi anni Bellotti sta ritornando all’attenzione, grazie anche alla sua presenza in mostre importanti, ultima delle quali in senso cronologico è stata quella dedicata a Brescia nel 2023 a Giacomo Ceruti, «il Pitocchetto», a cura di Francesco Frangi e Alessandro Morandotti, nel comitato scientifico della nostra esposizione. Qui era stato positivamente enfatizzato il suo ruolo di «precedente» di Ceruti ed è stata avanzata con più convinzione l’attribuzione di una grande tela, di altissima qualità e di notevole impatto, finora catalogata come di autore anonimo o tra le opere di Ceruti, notificata fin dal 1969 dallo Stato, ma acquistata in prelazione solo due anni fa per le Gallerie dell’Accademia: «Popolani all’aperto» è il germe della nostra mostra.

Come si sviluppa la mostra delle Gallerie?
Il percorso inizia con un altro dipinto di Bellotti che le Gallerie hanno acquistato nel 2017: un «Autoritratto in veste di Stupore», intrigante opera giovanile, in armatura ed espressione curiosa. tematica aderente alla temperie «barocca», ma interpretata in maniera dissonante ed enigmatica, niente a che fare con lo stupore declinato secondo la lettura religiosa gesuitica. A questo se ne affiancherà per la prima volta un altro, proveniente dagli Uffizi, intitolato «Autoritratto in veste di Riso»: insieme raccontano la strategia di autorappresentazione e autopromozione del pittore che vuole irrompere sulla scena veneziana con immagini nuove, provocatorie e allegoriche al tempo stesso, una strategia che riesce, a giudicare dalle fonti. 

Pietro Bellotti, «Indovina Martina», Milano, collezione Koelliker. Courtesy Bkv Fine Art

Tornando all’attribuzione del dipinto «I popolani»: è stata dunque confermata? 
Grazie al restauro, eseguito da Giulio Bono, e al confronto con altre opere certe del pittore esposte nell’ultima sala del percorso, abbiamo potuto con maggiore convinzione sostenere l’attribuzione di questo dipinto, prototipo di quella pittura realistica e attenta agli ultimi che tanto successo avrà nel Settecento tra Lombardia e Veneto. Alla fase tarda della pittura di Bellotti, più misteriosa e affascinante, abbiamo dedicato l’ultima sala dove i «Popolani» sono messi per la prima volta a confronto con alcune opere superlative del pittore, in arrivo da Londra, Dallas e da importanti collezioni italiane. In questa mostra proveremo a capire Bellotti non come «anticipatore di», ma come coprotagonista della ricca stagione artistica veneziana di medio Seicento. Si trasferisce presto a Venezia e tutta la sua prima produzione, ma in qualche modo anche quella più «realistica», è connessa alla cultura veneziana. Il suo stile così peculiare e i suoi soggetti così riconoscibili nascono in laguna in rapporto o in reazione ai molti pittori attivi in quegli anni, pure convocati in mostra, con opere di grande impatto in un vivace dialogo.

Quali sono le altre opere salienti del percorso?
Un’opera essenziale, la sua più celebre, è la «Parca Làchesi», da Stoccarda: una vecchia contadina con uno strano panno a fiori in testa tiene in mano ago e filo, gli attributi tradizionali, un soggetto che ebbe un successo strepitoso, replicata e copiata più volte. C’è poi un’altra parca, la Atropo di Budapest, ma anche un confronto con una «Donna che fila (Parca Lachesi)» che Pierfrancesco Mola dipinge all’indomani del suo rientro a Roma da Venezia. Una densa sezione è dedicata al tema dei filosofi, con prestiti importanti dal Prado di Madrid e dal Kunsthistorisches di Vienna, utili a documentare il rapporto di Bellotti con il Realismo postcaravaggista dei «napoletani» a Venezia: Jusepe de Ribera e Luca Giordano. Infine una sezione molto intrigante è dedicata ai soggetti negromantici e alla stregoneria: le opere di Bellotti dialogano con quelle di artisti documentati nelle collezioni veneziane, come ad esempio Salvator Rosa, a conferma di come la città attraesse e stimolasse la formazione di collezioni eterogenee, aperte a un gusto internazionale.

Dello stupore e della realtà abbiamo parlato, quanto invece all’enigma contenuto nel titolo?
La mostra non ha la pretesa di spiegare tutto il percorso di un autore che resta misterioso per molti aspetti della sua vita e con la produzione «tarda» che sembra non aver lasciato tracce documentate. La mostra avrà un effetto rinvigorente per gli studi sul pittore e più in generale sulla pittura del Seicento. È la prima esposizione dedicata alla pittura di questo secolo a Venezia dal 1959: la speranza è che riaccenda i riflettori su questo periodo così affascinante e ricco di artisti ancora poco noti al grande pubblico. 

Pietro Bellotti, «Autoritratto come allegoria dello stupore», 1658 ca, Venezia, Gallerie dell’Accademia. Courtesy Matteo Panciera per Gallerie dell’Accademia

Camilla Bertoni, 12 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

Alla riscoperta della «pittura della realtà» di Pietro Bellotti | Camilla Bertoni

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