Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image

Alla Cattolica sculture e speranze di Meggiato interpretate dalle studentesse

Fino al 30 settembre, sette sculture bianche in lega di alluminio, esposte nei chiostri dell’Ateneo, ispirate alla dimensione simbolica e interiore de Le città invisibili di Italo Calvino

Gianfranco Meggiato è nato a Venezia il 26 agosto 1963. La sua attitudine all’arte, e alla scultura in particolare, l’ha sviluppata fin da bambino, modellando lo stucco che il padre, muratore, gli portava a casa. Un interesse che ha poi coltivato frequentando l’Istituto Statale d’Arte della sua città, sotto la guida del professor Loris Zambon, scultore formatosi con Viani, che ne indirizza la ricerca plastica. L’esordio espositivo alla Fondazione Bevilacqua La Masa nel 1979. Da allora sviluppa un linguaggio che dialoga con i grandi del Novecento come Brancusi, Moore e Calder. Dal 1998 espone a livello internazionale: tra i suoi progetti più noti si ricordano le monumentali installazioni a Miami (Sfera Sirio, 2016), Venezia (Verso la Libertà, 2017), Catanzaro (Il Giardino delle Muse Silenti), Palermo (La Spirale della Vita, Manifesta 12), Matera (Il Giardino di Zyz, 2019), Agrigento (L’uomo quantico, 2021) e Pisa (Il respiro della forma, 2022). Due volte presente alla Biennale di Venezia (2011, 2013), ha ricevuto nel 2017 il Premio ICOMOS/UNESCO per la sua capacità di fondere arte contemporanea e patrimonio storico. Nel 2023 ha firmato l’installazione L’incontro – Simbolo di Pace a Roma e nel 2024 ha esposto 39 opere nel prestigioso Heydar Aliyev Center di Baku con la mostra «Linee dell’Invisibile». Fino al 30 settembre, nell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano è visibile la sua mostra personale «ELPÌS - Dove nasce la speranza», curata da un gruppo di studentesse composto da Arianna Bono, Matilde Cauteruccio, Matilde Dante, Maria Laura Foti, Sara Ravelli, Alessandra Mara Sartori di Borgoricco, Melania Sisinno, che hanno identificato nelle sette sculture esposte un’affinità con Le Città Invisibili di Italo Calvino: una riflessione sull’anima umano e il mistero che la circonda.

Gianfranco Meggiato durante l’inaugurazione della mostra, accanto alla sua opera Lo specchio dell’assoluto, 2017 © Università Cattolica

Come e perché si è avvicinato all’arte e alla scultura?
Fin da bambino mi è sempre piaciuto modellare, mio padre portava a casa lo stucco per vetri e io lo trasformavo in cavalieri medievali. Ho frequentato l’Istituto Statale d’Arte di Venezia, a 16 anni ho partecipato con Transenna (un pannello in pietra tenera lavorato a fresa su entrambe le superfici) alla mia prima mostra collettiva, organizzata presso la Fondazione Bevilacqua La Masa. Ricordo ancora l’emozione della sera dell’inaugurazione, quando ho capito che la scultura sarebbe stata la mia strada. Ispirato da artisti come Brancusi, Arp e Moore, e influenzato anche da visioni filosofiche orientali, ho iniziato a esplorare la tridimensionalità come linguaggio capace di andare oltre l’apparenza, dare forma a contenuti interiori, simbolici, in cui la scultura diventa strumento di riflessione e armonia interiore. Ultimamente la fisica dei quanti è stata forte motivo di ispirazione per la creazione delle mie opere. Max Planck, il padre della fisica dei quanti, afferma che dallo studio della materia si evince che c’è una coscienza intelligente che ha creato e tiene insieme tutto l’universo. Allora la nostra realtà fisica sarebbe la materializzazione del pensiero di questa coscienza creatrice di cui noi non saremmo altro che un frammento. Arthur Eddington dice: «Un tempo pensavamo che la materia fosse qualcosa di solido; ora non lo è più. La materia è più simile a un pensiero che a un oggetto». Sono riflessioni che sempre mi accompagnano.

La mostra si intitola Elpìs, il nome greco della speranza. Se dovesse scolpire oggi una forma che rappresenti la speranza per le nuove generazioni, quale sceglierebbe e perché?
La scultura Risveglio, esposta all’interno della Cattolica, è già una risposta concreta e simbolica; speranza significa proprio questo, la possibilità di un risveglio interiore, individuale e collettivo. L’opera, con il suo movimento a spirale tendente verso l’alto, simboleggia un volo che innalza la sfera centrale della coscienza, un riscatto dell’essere umano che acquisisce la consapevolezza per liberarsi dai condizionamenti. Penso che le nuove generazioni abbiano bisogno di sperare, non in un futuro perfetto, ma nella possibilità di costruirlo passo dopo passo, con sensibilità e responsabilità. La forma della speranza, per me, è quella di una scultura aperta, in tensione ascensionale, che abbraccia la complessità del mondo alla ricerca una direzione chiara, verso la luce, verso il risveglio.

Lo Specchio dell’Assoluto, Oltre il Finito, Il Volo… 
I titoli delle opere evocano un lessico quasi mistico: come nascono? Vengono prima o dopo l’opera?
Per creare le mie opere non eseguo mai un disegno o un bozzetto preparatorio, lavoro d’istinto, di getto. Credo che l’artista sia soprattutto un’antenna ricevente, per me il vero gioco è mettersi in ascolto, staccare l’io, la propria parte razionale e affidarsi all’istinto creativo. Mi piace andare a lavorare la mattina senza sapere cosa farò. I titoli delle mie opere nascono da un dialogo continuo tra forma e pensiero; a volte vengono prima, sono come un’idea, una sensazione che mi guida nella ricerca della forma. Altre volte arrivano dopo, come un sussurro che emerge solo quando l’opera è compiuta, e serve a darle una parola, un respiro, un ulteriore livello di senso. Spesso scelgo parole che evocano un lessico mistico o filosofico per dare possibilità alle opere di aprirsi a dimensioni più profonde, oltre l’apparenza materiale. Titoli come Lo Specchio dell’Assoluto, Oltre il Finito, Il Volo sono inviti a guardare oltre, a cercare dentro l’invisibile, a cogliere la tensione verso qualcosa di più grande, di infinito. Non sono etichette fisse, ma piuttosto chiavi di lettura, che accompagnano in un viaggio personale, aperto e in continua trasformazione.

 

 

Gianfranco Meggiato, Il Volo, 2019 @ Federico Di Dio

Gianfranco Meggiato, Oltre il finito, 2024, © Federico Di Dio

La curatela è stata affidata a un gruppo di studentesse. È stato stimolante, o destabilizzante, lasciare che interpretassero liberamente, con uno sguardo giovane e collettivo, il senso del suo lavoro?
Assolutamente stimolante. Ho accolto con interesse e apertura l’idea che un team giovane, con uno sguardo collettivo e non ancora vincolato da percorsi critici consolidati, potesse interpretare liberamente il mio lavoro. Le studentesse hanno dimostrato grande sensibilità, riuscendo a cogliere l’essenza delle opere con attenzione e autenticità, offrendo letture nuove e inaspettate. Ritengo che l’arte debba sempre rimanere un terreno aperto al dialogo, all’ascolto e alla rilettura. In questo senso, coinvolgere le nuove generazioni in un progetto curatoriale non è solo un gesto di fiducia, ma anche un atto coerente con il tema della mostra stessa: Elpìs, la speranza. Sono proprio i giovani a rappresentare oggi la dimensione in cui la speranza può ancora germogliare e trasformarsi in visione.

Le opere in mostra sono immerse nello spazio universitario e vissute quotidianamente dagli studenti. Come cambia il rapporto con l’arte, quando esce dai suoi luoghi canonici per entrare nella vita delle persone, in particolare delle giovani generazioni?
Portare l’arte all’interno di uno spazio universitario significa darle un ruolo vivo e quotidiano. Le opere si osservano, si incontrano e sono un’esperienza di dialogo e di vita, diventano stimoli di riflessione, occasioni per interrogarsi. Per questo, accanto a ogni scultura ho inserito una frase in italiano e in inglese, un invito a fermarsi, a trovare ciascuno le proprie risposte. L’arte, in questo contesto, diventa esperienza personale. E in questo gesto, credo, risiede una forma concreta di speranza.

Le sue opere giocano con il pieno e il vuoto, la materia e lo spazio. Come si lega questa estetica al tema della speranza, che per sua natura è invisibile, immateriale?
Modello le mie opere ispirandomi spesso al tessuto biomorfo e al labirinto, che simboleggiano il tortuoso e tormentato percorso dell’uomo teso a trovare sé stesso e la propria sfera interiore. In questo contesto lo spazio entra dentro l’opera e il vuoto diventa importante, a volte più del pieno, poiché è proprio nel non tangibile che risiedono i valori della vita, come i sentimenti, la fede, gli ideali. Non li puoi toccare, li puoi solo vivere. Il vuoto, nelle mie opere, è tutt’altro che assenza, è possibilità, spazio di trasformazione. La speranza funziona allo stesso modo: non si vede, ma si percepisce, e dà senso a tutto ciò che le sta intorno. La speranza, come il vuoto, è invisibile ma di fondamentale importanza, il luogo in cui nasce ogni vero cambiamento.

Le sculture esposte sono tutte bianche. Perché questa scelta cromatica? È un gesto estetico, spirituale, simbolico o politico?
La scelta del bianco non è casuale: è un gesto simbolico e profondamente spirituale. Il bianco è il colore della luce, della purezza, dell’inizio, un colore che non impone, ma accoglie. In un certo senso è lo spazio della possibilità, dell’indefinito, del «tutto può ancora accadere», esattamente come la speranza. Con il bianco ho voluto spogliare la materia da ogni distrazione cromatica per portare l’attenzione sulla forma, sul vuoto, sul movimento interno delle opere. È anche un invito a guardare oltre la superficie, a cercare un significato più profondo. In questo senso, sì, è anche un gesto spirituale, un’affermazione di luce in un tempo che spesso sembra dominato da oscurità e incertezza. È un modo per dire che c’è sempre tempo per la rinascita, per un nuovo inizio.

Nel testo curatoriale si cita un parallelismo con Le città invisibili di Calvino. Riconosce qualcosa del suo modo di fare arte in quell’universo fatto di visioni, simboli, spazi interiori?
Sicuramente. Le Città invisibili di Calvino non descrivono luoghi reali, ma paesaggi interiori, sono architetture dell’anima. Anche le mie sculture, non rappresentano ma evocano, sono spazi aperti dove ognuno può proiettare il proprio vissuto. Come in Calvino, anche nel mio lavoro lo spazio non è solo fisico, ma mentale, spirituale. C’è sempre un dentro e un fuori, un visibile e un invisibile; le forme si aprono, si intrecciano, invitano al viaggio interiore. Anche le mie opere non danno risposte: pongono domande, accendono possibilità, suggeriscono direzioni. 

Durante la mostra il pubblico è invitato a lasciare pensieri e testimonianze sul tema della speranza. Quali sono i feedback che l’hanno colpita di più?
Leggere i pensieri lasciati dagli studenti e dal pubblico è una delle parti più toccanti di questa esperienza, alcuni messaggi sono semplici, quasi sussurrati, altri profondi e intensi. Quello che mi colpisce di più è la sincerità con cui le persone si aprono: parlano di dolore, di speranza ritrovata, di ferite, cercano luce ma anche gratitudine per aver intravisto uno spazio di silenzio in cui riconoscersi. Sono testimonianze che saranno riportate in un libro di prossima pubblicazione, in quanto confermano che l’arte ha la capacità di toccare corde profonde, senza bisogno di spiegazioni. La speranza non è una parola astratta, è un bisogno concreto, urgente e condiviso. Offrire uno spazio dove tutto questo possa emergere significa per me attribuire un senso compiuto alle mie opere.

Su quali nuovi progetti stai lavorando?
Sto lavorando a un importante progetto espositivo per la città di Padova, che sarà inaugurato a settembre con l’installazione di sculture monumentali nel centro storico e nelle periferie. La mostra nasce da un invito del Comune di Padova a creare un dialogo tra la mia ricerca scultorea e l’opera di Giotto. Ho accolto questa proposta come una sfida stimolante, che mi ha spinto a esplorare nuove soluzioni compositive. È un progetto che unisce tradizione e innovazione, materia e pensiero, e che si inserisce nel mio percorso di ricerca di un’arte capace di generare riflessione, silenzio e consapevolezza.

 

Gianfranco Meggiato, Colpo d’ala, 2023 @ Federico Di Dio

Gianfranco Meggiato, Il soffio della vita, 2017 © Federico Di Dio

Jenny Dogliani, 07 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

Alla Cattolica sculture e speranze di Meggiato interpretate dalle studentesse | Jenny Dogliani

Alla Cattolica sculture e speranze di Meggiato interpretate dalle studentesse | Jenny Dogliani