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Testa femminile con diadema (Venere) in bronzo dorato, età adrianea (Antiche collezioni granducali, Museo Archeologico Nazionale di Firenze)

Photo: Ministero della Cultura, Museo Archeologico Nazionale di Firenze

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Testa femminile con diadema (Venere) in bronzo dorato, età adrianea (Antiche collezioni granducali, Museo Archeologico Nazionale di Firenze)

Photo: Ministero della Cultura, Museo Archeologico Nazionale di Firenze

All’Archeologico di Firenze il potere e la bellezza degli imperatori

È stata inaugurata la mostra «Icone di potere e bellezza» con le tre teste in bronzo dorato del Museo di Santa Giulia a Brescia, secondo capitolo dello scambio di manufatti tra le due istituzioni gestito da Fondazione Brescia Musei

Laura Lombardi

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La funzione dell’arte nella legittimazione del potere ha antiche origini che si perpetua nei secoli: un eloquente esempio lo offre la mostra «Icone di potere e bellezza» (11 dicembre-9 aprile 2026), secondo capitolo del virtuoso scambio tra il Museo Archeologico Nazionale di Firenze e il Museo di Santa Giulia a Brescia, gestito dalla Fondazione Brescia Musei, progetto riassunto dal titolo complessivo di «Idoli di bronzo».

Fulcro della mostra sono le tre Teste in bronzo dorato di imperatori provenienti da Brescia e la Testa di Venere conservata a Firenze, dalle collezioni granducali, opere romane dal I al III secolo d.C. All’interno di ciascuna delle teche, oltre alle fulgenti sculture, sono medaglioni e monete (aurei, sesterzi, denari, assi), gemme, anelli e collane d’oro nelle quali ritroviamo, in formato minuto ma di raffinatissima fattura, analoghe iconografie e significati simbolici.  In un’altra teca, una Testa d’aquila a grandezza naturale, simbolo della maestà di Giove, dallo sguardo severo e acutissimo, è di epoca augustea a ricordarci quei valori a cui gli imperatori, da Settimio Severo in poi, si richiamano per cercare di risollevare le sorti di un Impero, ormai divenuto troppo grande per essere governato. È d’altronde lo stesso sguardo severo che caratterizza i volti delle sculture, immagini chiamate a trasmettere bellezza unita a sicurezza e stabilità. «La narrazione si costruisce su quattro opere principali, spiega Barbara Arbeid, e per le opere di piccolo formato abbiamo privilegiato pezzi che di solito non sono esposti nel Museo, le cui iconografie richiamano quelle degli imperatori Settimio, e dei cosiddetti imperatori illirici Claudio il gotico e Probo. Gli oggetti in mostra erano destinati anche a uso privato ma hanno lo stesso significato simbolico, conferendo carisma alla persona che li possedeva, come nel caso di un anello con un sigillo. L’idea di bellezza come mezzo di trasmissione di stabilità, si richiama al concetto greco del καλὸς καὶ ἀγαθός, unione di bello e buono, la bellezza è sempre riflesso di pregi interiori. Anche Venere riveste il doppio significato di dea dell’amore e al tempo stesso di genitrice e quindi garante della trasmissione del potere dinastico. L’immagine della dea (presente anche nella statuetta di «Venere che si allaccia il sandalo») si collega a quella di figure femminili di primo piano nella gestione degli affari pubblici quali Iulia Domna, moglie di Settimio Severo, i cui lineamenti delicati e l’acconciatura elaborata figurano in alcuni tipi monetali».

La mostra è allestita (e progettata) dallo studio Deferrari+Modesti in una galleria al secondo piano del Museo, dove è stato volutamente lasciato il basamento cinquecentesco dell’«Idolino» di Pesaro, a evocare lo scambio con il Museo di Brescia. Come spiega il direttore dell’istituzione fiorentina, Daniele Federico Maras, «se per la Chimera, lo studio Guicciardini Magni ha seguito l’idea del teatro, e quindi il rosso li presente è quello di un sipario, qui invece si tratta di una sorta di proiezione di un padiglione imperiale, cui rimanda il colore porpora; le cortine in tessuto che pendono dal soffitto suggeriscono i padiglioni di caccia o altre strutture create per quando andavano a vedere i giochi: immagini del potere sul campo insomma». L’identità degli imperatori non è certa, se non per il volto di Settimio Severo: le altre teste potrebbero anche ritrarre notabili, privati cittadini che all’immagine di autorevolezza degli imperatori si ispirano: «Lo scopo è sempre lo stesso. Il richiamo è ad Augusto e, attraverso di lui, ad Alessandro Magno, precisa Maras; la presenza ricorrente della barba allude al filosofo, al pensatore, ma anche al soldato, colui che non aveva tempo di radersi; si trattava di imperatori “militarizzati”, con pochi fronzoli. La gestione del potere è molto complicata nel III secolo: Settimio Severo punta sulla stabilità dinastica, ma poi Caracalla uccide Geta, la concordia finisce e, dopo la fine dei Severi, comincia una fase in cui gli imperatori durano pochi anni e passano tutto il tempo a combattere per salvare l’Impero».

Notevoli gli esiti del restauro a cura dell’Opificio delle Pietre Dure, della testa del cosiddetto «Probo» e della Testa di Venere. Il catalogo, edito da Allemandi, a cura di Daniele F. Maras e Barbara Arbeid, riunisce saggi, tra gli altri, di Stefano Karadjov, Maria Elisa Micheli, Massimiliano Papini, Javier Deferrari e Lavinia Modesti, e fotografie di Alessandra Chemollo. Il progetto di identità visiva è a cura dello studio Tassinari Vetta.      

Testa virile in bronzo dorato, II metà del III secolo d.C. Dal Capitolium di Brescia (Brescia, Museo di Santa Giulia). Courtesy Archivio fotografico Musei di Brescia. Photo: Studio Rapuzzi

Testa di aquila in bronzo, età augustea (Antiche collezioni granducali, Museo Archeologico Nazionale di Firenze). Photo: Samuele Nencini, Emilio Trambusti. Ministero della Cultura-Museo Archeologico Nazionale di Firenze

Laura Lombardi, 12 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

All’Archeologico di Firenze il potere e la bellezza degli imperatori | Laura Lombardi

All’Archeologico di Firenze il potere e la bellezza degli imperatori | Laura Lombardi