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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliSi inaugura oggi 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (fino al primo marzo 2026), «Life Pleasures», la prima mostra in Italia dedicata a Helen Chadwick (1953-96), a cura di Sergio Risaliti, Stefania Rispoli e Laura Smith e realizzata in collaborazione con The Hepworth Wakefield e la Kunsthaus Graz, seconda tappa dell’esposizione, dopo Firenze. Morta a poco più di quarant’anni, Chadwick è artista davvero radicale e carismatica, presso cui si formano grandi nomi della «Young British Art», quali Tracey Emin, Sarah Lucas e Damien Hirst; vestita di pelle, a cavallo della sua moto, spregiudicata e irriverente, punk, Chadwick vive a Londra nel quartiere di Beckroad, le cui case, destinate a essere smantellate e distrutte, saranno invece occupate dagli artisti, diventando un quartiere celebre per l’ambiente che vi si formerà.
In linea con l’impegno del Museo Novecento di Firenze a porre in rilievo figure di artiste del panorama novecentesco e contemporaneo, la mostra, articolata negli spazi al pianterreno del museo, svela la forza di un linguaggio nel quale si mescolano scultura, installazione, fotografia, stampa e performance; e l’uso di materiali eterogenei, insoliti o grotteschi, tende a ridefinire continuamente il concetto stesso di opera d’arte. Candidata nel 1987 al prestigioso «Turner Prize» con «The oval court», ora nella sala centrale del museo fiorentino (grazie al prestito del Victoria and Albert Museum di Londra), Chadwick sollecita lo spettatore da un punto di vista sia sensoriale, sia cognitivo; un misto di imbarazzo, rigetto e attrazione emana infatti dalle sue opere, esplicite e disturbanti, armoniose e affascinanti. In «The oval court», 12 immagini realizzate con una macchina Xerox, Chadwick, si autorappresenta celebrando, gioiosamente e senza inibizioni, l’unione del suo corpo con la natura, ma fondendo anche riferimenti all’architettura rococò e barocca e alla storia dell’arte. Pose memori dell’«Estasi di Santa Teresa» (1647-52) di Gian Lorenzo Bernini o de «L’Odalisca bionda» (1775) di François Boucher svelano così un’eco personale e ironica del citazionismo dell’arte di quel decennio postmoderno.
Helen Chadwick, «Self Portrait», 1991, Jupiter Artland Foundation. © Estate of Helen Chadwick. Courtesy Richard Saltoun London, Rome, New York
Lo scavo che l’artista compie nei grandi temi dell’arte e dell’esistenza, la caducità, la morte, la sessualità, la malattia, è narrato da un allestimento che non segue un filo cronologico, ma piuttosto di richiami tra opere. Tuttavia, nella sala sulla destra entrando, sono esposti due lavori giovanili: «Ego geometria sum», sculture realizzate in compensato con emulsione fotografica, che rappresentano un oggetto simbolico legato a momenti diversi della sua crescita, e «In the Kitchen», dove il corpo si cala all’interno di elettrodomestici («in the» nel senso davvero fisico del termine) del 1977, costumi a metà strada tra abiti e mobili realizzati con strutture in metallo rivestite da un involucro morbido in pvc bianco che Chadwick indosserà anche nel corso di una performance musicale con le sue compagne di corso. Il riferimento critico al ruolo assunto dalla donna, angelo del focolare (pensiamo, ad esempio, a Martha Rosler coi suoi coltelli nel video «Semiotic of the Kitchen» dello stesso giro di anni) è qui espresso in modo ludico e fantasioso: se infatti le strutture limitavano i movimenti delle performer, costringendole a gesti meccanici, gli elettrodomestici a loro volta assumevano tratti antropomorfi e sensuali.
Nella sala centrale, oltre a «The oval court» prima citato, troviamo «Lofos Nymfon» (1992-93), dove, ispirandosi alle sue origini greche (la madre Aggeliki era ateniese), Chadwick intreccia, in un dialogo di forme ovali e simboli archetipici, che sullo sfondo recano immagini del Partenone o del monte Licabetto, memorie intime, mito e desideri ancestrali. Nella serie di fotografie circolari «Wreaths to Pleasure», fiori, petali e boccioli sono sospesi in vari liquidi, dal succo di pomodoro al latte, dal detersivo per piatti al cioccolato; le cornici circolari richiamano forme biologiche e cellulari, evocando gli elementi costitutivi della vita, ma il termine wreaths (ghirlande) rimanda al cordoglio e alla morte. E lei le definiva «bad blooms»: fioriture cattive o corrotte.
«Il corpo è stato elemento centrale della sua arte, spiega Stefania Rispoli, un corpo di cui andava orgogliosa, presentato sempre nudo e misura del suo lavoro, come si vede nelle sculture di “Ego geometria sum”, che hanno dimensioni diverse a seconda delle tappe della vita che raccontano. Per questa sua nudità, esibita anche nella sua bellezza, Chadwick fu però criticata dalle stesse femministe. Infatti, dopo una certa data, pur continuando a mettere il tema del corpo al centro, troveremo piuttosto le viscere, anche quelle di animali. Il corpo visto da dentro insomma».
La caratteristica di Chadwick è proprio creare dicotomia, giocando sui contrasti tra gli opposti, tra la bellezza dei fiori (orchidee, campanule, ranuncoli, narcisi e altri ancora) ed elementi quali invece verdure in decomposizione, lombrichi, urina, sangue mestruale, carne viva. «Alcune opere luminose e attraenti hanno soggetti molto espliciti, come “Billy Bud”, dove un fiore presenta, al posto dei pistilli, dei genitali. La sua ricerca si compie gli anni dell’Aids, esprimendo un’estetica già molto vicina a quella queer; sebbene il concetto di fluidità ancora non fosse così definito e trattato in modo ricorrente come oggi, lei pare già ben tradurlo». In «Piss Flowers» (1991-92), Chadwick usa la propria urina e quella del compagno David Notarius per modellare sculture di gesso poi fuse in bronzo, suscitando in maniera singolare e provocatoria la riflessione sull’identità di genere, la sua ambiguità e fluidità. Qui infatti, scorrendo sulla materia, il calore dell’urina femminile genera una forma fallica centrale, mentre quella maschile, più fredda, crea i contorni dei petali.
Helen Chadwick, «The making of Piss Flowers: urine casting in Banff National Park, Canada, 1991». © Estate of Helen Chadwick. Courtesy Richard Saltoun London, Rome, New York