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Jackson Pollock, «Number 27», 1950, New York, Whitney Museum of American Art

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Jackson Pollock, «Number 27», 1950, New York, Whitney Museum of American Art

A Madrid Jackson Pollock vs Andy Warhol

Attraverso due figure chiave del XX secolo il Museo Thyssen-Bornemisza rifiuta un tema centrale della storia dell’arte: la separazione canonica tra arte astratta e arte figurativa

Roberta Bosco

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«Ricominciare a guardare, avere il coraggio di contemplare, oggi, è un atto sovversivo. Se stiamo rivisitando la storia dell’arte da diversi punti di vista, allora perché non affrontare un dibattito centrale: figurativo versus astratto, attraverso due figure chiave dell’arte del XX secolo, Jackson Pollock e Andy Warhol». Lo afferma Estrella de Diego, cattedratica, critica e teorica dell’arte, curatrice di «Warhol, Pollock e altri spazi americani» (dal 21 ottobre al 25 gennaio 2026), la mostra che apre la stagione espositiva del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. 

«Da anni studio la relazione tra questi due artisti che la storia dell’arte si è impegnata a mantenere rigorosamente separati. Da un lato Pollock, rappresentante dell’arte astratta, seria e intellettuale, e dall’altro Warhol, simbolo di quell’arte figurativa facile, dei temi banali e della cultura di massa» spiega de Diego, che già 25 anni fa ha pubblicato un libro rivelatore Tristissimo Warhol, recentemente ripubblicato dalla casa editrice Anagrama, in cui mette in evidenza che il fascino di Warhol per Pollock va molto al di là della sua morte in un incidente stradale nel 1956. «Né Pollock fu sempre astratto, né Warhol solo figurativo. Sono due artisti straordinariamente complessi e apparentemente molto diversi, ma uniti, come altri artisti di quella generazione presenti in mostra, dall’interesse per l’evoluzione della tradizione pittorica, specialmente in relazione alle nuove strategie spaziali e, in alcuni casi, all’uso del grande formato», continua de Diego, che affronta la relazione tra Pollock e Warhol, arte astratta e arte figurativa, proprio a partire dal controllo dello spazio, una questione cardinale nella pittura occidentale fin dal Quattrocento. 

«Pollock cambia definitivamente il senso dello spazio come si conosceva e Warhol dal canto suo, introducendo il concetto di ripetizione, sconvolge l’idea nucleare della storia dell’arte, basata sull’originalità e sull’unicità, eliminando totalmente il punto di fuga», spiega la curatrice, citando opere come «Liz in Silver as Cleopatra» (1963), «A Solo Elvis» (1964) e «Jackie II» (1966) di Warhol, che rompono l’idea tradizionale di spazio con la differenziazione tra sfondo e figura. «Con le ripetizioni e le moltiplicazioni di oggetti, Warhol modifica definitivamente l’idea di spazio in Occidente. Le sue celebri serie dedicate ai fiori, ai teschi e agli incidenti automobilistici dimostrano che ogni immagine ripetuta è sempre diversa e che, nonostante ci siano figure riconoscibili, queste sono così sovrapposte che saturano lo spazio e finiscono per destrutturarlo, convertendolo in un’opera astratta», aggiunge Estrella de Diego, che ha ottenuto prestiti straordinari, comprese opere che viaggiano in rarissime occasioni, tra cui ben 11 Pollock e otto «Piss painting» o «Oxidation paintings» che Warhol realizzò negli anni Settanta con urina, imitando le opere che Pollock dipinse poco prima della sua morte. 

In mostra anche un’eccellente selezione di fotografie dell’artista provenienti dall’Andy Warhol Museum di Pittsburgh, che attestano la sua esplorazione più formale dell’astrazione con immagini composte da lunghe ripetizioni di oggetti. 

La rassegna, che si apre con una bottiglia di Coca Cola king size, riunisce 106 opere, molte inedite in Spagna, dei due protagonisti del progetto, in dialogo tra loro e con altri artisti di quella generazione, tra cui molte donne, come Lee Krasner, Helen Frankenthaler, Marisol Escobar, Sol LeWitt e Cy Twombly. Il percorso, suddiviso in sei sale, riserva alcune sorprese emozionanti: «Mettiamo a confronto opere di artisti che la storia dell’arte ha sempre considerato inconciliabili, ma che sembrano uscite dalla stessa testa», assicura de Diego. Tra le opere, che provengono da una trentina di istituzioni nordamericane ed europee, spiccano «Brown and Silver I» di Pollock, «Express» di Rauschenberg della Collezione Thyssen e «Rauschenberg triple» di Warhol della Sonnabend Homem Collection. Dalla Peggy Guggenheim Collection di Venezia provengono «Enchanted forest» e «Direction, 1945» di Pollock, mentre il Metropolitan di New York ha prestato «Untitled» di Pollock e «Electric chair» di Warhol. Il percorso si chiude con un «dialogo tra assenze» tra la serie di ombre, realizzate da Warhol alla fine degli anni Settanta con pennellate misteriose in cui è ormai impossibile distinguere alcuna figura, e «Untitled (green on purple)» di Rothko della collezione Thyssen-Bornemisza. 

Andy Warhol, «Piss Painting», anni Settanta

Roberta Bosco, 20 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

A Madrid Jackson Pollock vs Andy Warhol | Roberta Bosco

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