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La «Natività» di Carlo Maratta (1650) conservata nella Chiesa di San Giuseppe dei falegnami a Roma

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La «Natività» di Carlo Maratta (1650) conservata nella Chiesa di San Giuseppe dei falegnami a Roma

Un ricordo di Stella Rudolph

«La morte è una grande purificatrice: la porta del nostro esodo dal disordine del mondo per un rientro nel mistero dell’infinito»

Arabella Cifani

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La mia conoscenza con Stella Rudolph è strettamente collegata alla figura del marito, Gian Lorenzo Mellini, che fu un grande amico e mio indimenticato e amatissimo professore di storia dell’arte all’Università di Torino (dove non si trovò affatto bene definendola luogo di «vessatori, parassiti e sicofanti»). Un pomeriggio, a Firenze nella casa di via di san Niccolò, Mellini, storico dell’arte di altissimo profilo ma cane «senza padrone a’ quale non toccano né tozzi né percosse» come afferma Ugo Foscolo nell’Ortis, presentò a me e mio marito Stella, bella elegante e flessuosa, che si aggirava con grazia carica di libri e carte fra gli splendidi quadri e oggetti d’arte delle loro collezioni.

Fu l’inizio di un’amicizia e di una stima che solo la morte precoce di Gian Lorenzo, alla fine del 2002, attenuò in parte. Mentre cercavo inutilmente (rifiutava di seguire le prescrizioni mediche) di far curare Gian Lorenzo dai migliori cardiologi italiani, crebbero le occasioni di incontrarci a Firenze. Una sera a cena a Porta a Prato, ridendo e scherzando Stella e Gian Lorenzo ci raccontarono il loro incontro, avvenuto durante l’alluvione del 1966. Stella era a quel tempo in procinto di sposare un nobile inglese e, come si addiceva a una futura Lady, a Londra le stavano cucendo un suntuoso corredo e preparando un classico matrimonio british con damigelle, ghirlande di fiori e cocchio con cavalli. Alla fine del 1966 doveva rientrare in patria per le nozze.

Ma nel novembre di quell’anno l’Arno in rotta cacciò dal suo alloggio al piano terra Gian Lorenzo, che fu ospitato dalla giovane e bella studiosa inglese impietosita nel vederlo «galleggiare come un sughero». Gian Lorenzo cominciò a corteggiarla e lo fece nel modo più irresistibile che ci sia per una donna intelligente e colta: la portò a fare gite in bici fuori porta, per pievi e chiesole solitarie, fra palazzi antichi e viali di cipressi, con soste in osterie fuori mano. Stella a quel punto considerò che il suo futuro sposo al confronto era di una noia mortale e che tediosissima sarebbe stata la sua vita di sposa inglese d’alto bordo fra un tea party e una serata. Decise di restare, con Gian Lorenzo non fu un rapporto sempre facile, ma fu vita vera.

Ora che la morte li ha riuniti, la vorrei salutare con le parole che suo marito scrisse in un suo bellissimo libro in cui molto si parla di lei: Petra Mala (Bergamo 1991). Malato mortalmente Mellini considerava la morte con la massima serenità «per quello che essa è, cioè una grande purificatrice: la porta del nostro esodo dal disordine del mondo per un rientro nel mistero dell’infinito». Stella ha varcato la porta e ora, forse, corre in bici con Gian Lorenzo, eternamente giovani e felici fra le colline del cielo.

La «Natività» di Carlo Maratta (1650) conservata nella Chiesa di San Giuseppe dei falegnami a Roma

Arabella Cifani, 25 maggio 2020 | © Riproduzione riservata

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