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Tra segni, fantasmi e silueta

Michela Moro

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La Galleria Raffaella Cortese è stata fondata nel 1995 in un piccolo spazio casalingo della gallerista. Nel 2007 si è trasferita nella sede attuale, duplicandosi ed espandendosi fino all’ultima aggiunta nel 2015. Con vista su strada e tre numeri civici è diventata un centro espositivo che ben si adatta alle esigenze degli artisti con cui lavora: Francesco Arena, Miroslaw Balka, Yael Bartana, Keren Cytter, Michael Fliri, Roni Horn, Joan Jonas, Kimsooja, Anna Maria Maiolino, Marcello Maloberti, Kiki Smith, Jessica Stockholder e T. J. Wilcox, solo per citarne alcuni. Fino a maggio ospita contemporaneamente le personali di Silvia Bächli, Ana Mendieta e Nazgol Ansarinia.

Svizzera, classe 1956, la Bächli realizza principalmente lavori su carta, sperimentando tecniche e formati diversi e sviluppando un linguaggio pittorico formalmente immediato e minimale. La sua è una ricerca personale sulla linea intesa come segno grafico e artistico. Realizzate tra il 2013 e il 2015, le opere in mostra sintetizzano gli ultimi sviluppi del suo lavoro sia dal punto di vista del colore sia del gesto. Il titolo della rassegna «Avanti. Diventa» è tratto dalla raccolta poetica It (1969) della scrittrice danese Inger Christensen, che già aveva ispirato il lavoro dell’artista nel padiglione svizzero della Biennale di Venezia del 2009.

La seconda mostra è quella di Ana Mendieta (1948-1985), che nel 1983, anno in cui vinse il Prix de Rome per la scultura, si trasferì da New York a Roma, città che amò per la sua ricchezza artistica e storica. Nel periodo di residenza presso l’American Academy in Rome, ebbe la possibilità di sviluppare la sua tecnica scultorea allontanandosi dalla produzione di lavori ambientali per dedicarsi alla creazione di sculture e disegni che conservano, però, le forme e i profili dei primi lavori, definiti comunemente silueta. Il percorso propone alcune opere del periodo romano, che si concluderà col ritorno a New York e la tragica morte dell’artista, caduta dal 35esimo piano del suo appartamento.

«Paper Trail» di Nazgol Ansarinia, nato a Teheran 1979, infine, ruota intorno a tre progetti aperti che rispecchiano la poetica dell’artista, centrata sull’esame e l’elaborazione della vita quotidiana di Teheran. I collage «Reflections/Refractions» esplorano visivamente il quotidiano attraverso forme geometriche applicate ad alcuni lavori a specchio, mentre i «Pillars» rievocano le colonnine neoclassiche delle architetture kitsch delle case degli arricchiti iraniani. Figura inoltre il nuovo progetto «Membrane»: nella costruzione di nuovi complessi residenziali a Teheran spesso rimangono tracce sui muri laterali delle vecchie costruzioni demolite. «Membrane» è lo studio dei fantasmi di questi edifici, mappati dall’artista con uno scanner 3D per ricreare un modello tridimensionale in cui rivive parte dell’edificio distrutto.

Michela Moro, 06 aprile 2016 | © Riproduzione riservata

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