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Anna Maria Colombo
Leggi i suoi articoliTorino e Milano. In certe sacrestie discoste, nelle Alpi o in remoti borghi marini, dove gli arredi sacri barocchi non sono andati del tutto dispersi, capita a volte di osservare paramenti sacri confezionati con un tipo di tessuto il cui decoro si deve alla sovrapposizione, secondo il disegno stabilito, di un sottile strato di cera. A vederlo, con il suo gioco di lucido e opaco, lo si direbbe un damasco. Certo, perché la cera, modificando la superficie tessile, ne muta anche il tono di colore.
Ho ricordato questi antichi tessuti al fine di creare un retroterra tecnico alle più recenti opere dell’artista catalano Sergi Barnils (1954) visibili nella galleria torinese Eventinove, via della Rocca 36, sino al 15 giugno. La cera, nell’insieme delle opere di Barnils, ha un posto privilegiato. Le sue realizzazioni più tipiche, infatti, si presentano come grandi pannelli di questo materiale, incisi con un segno sofferto, che crea tessere irregolari, dinamiche, rimarcate nei solchi dal nero e poi riempite con pastelli ugualmente cerosi in colori legati alla tradizione pittorica spagnola, quindi forti e vitali. Sono due, in galleria, le opere appartenenti a questo filone.
Ve ne sono poi altre due, che pur condividendo con le precedenti il ragguardevole formato e l’impiego della cera, inaugurano un nuovo sentire. Qui Barnils usa come supporto quei grandi teli di cotone stampati riconducibili alla tradizione indiana, non difficili da scovare nei mercatini dell’usato. A partire dalla fine del Settecento essi furono prodotti nei laboratori tessili dell’India appositamente per il mercato occidentale. I soggetti raffigurati, animali e vegetali, erano in quella cultura anche simboli cosmici. Almeno uno dei due, il più grande (Blanquina 2016), appartiene al genere il cui nome storico è palampores. Da questi manufatti derivano i mezzeri genovesi, che, ripiegati lungo la diagonale, si tramutarono in allegri scialli sulle spalle delle popolane liguri. La tipologia decorativa caratterizzante i palampores, seppur con tecniche diverse, non più manuali e lente, si è mantenuta, e questi teli sono divenuti articoli d’arredo consueti. Però non ci si discosta troppo dal vero a immaginare che l’artista abbia acquistato con cura i suoi teli, attratto non solo da forme e colori, ma anche dai segni dell’uso e del tempo che sempre un tessile porta con sé.
I teli scelti da Barnils raffigurano, l’uno una processione in circolo di elefanti, nei colori bianco e blu, l’altro un albero fiorito e uccelli piumati, in vari colori su fondo viola. Dopo averli intelaiati, l’artista vi ha apposto la cera a spessori diversi, come spatolata, sicché il decoro perde di definitezza e muta i suoi colori, li attenua. Questo piano ceroso diviene così un nuovo supporto sul quale disporre il proprio disegno, fatto di grandi pennellate di tempera bianca morbide e svagate.
Se diciamo cera, diciamo candela, e dunque tempo che inesorabile si consuma. Ma questa sostanza, così impiegata, ne rallenta lo scorrere, per poter intonare un nuovo canto pittorico.
Nello stesso periodo altre opere di Sergi Barnils sono esposte a Milano nella galleria Marco Rossi arte contemporanea, in corso Venezia 29.
Immagine d’insieme dell’opera «Blanquina» di Sergi Barnils 2016
Un particolare dell'opera «Blanquina» di Sergi Barnils 2016
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