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Sono i ricchi privati a spingere il boom museale di Beirut

Gareth Harris

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Un gran numero di musei, in gran parte finanziati da fondi privati, sta nascendo in quello che a molti potrebbe sembrare un improbabile polo culturale: la capitale del Libano, principale piazza finanziaria del Vicino Oriente. Molti associano la città con la drammatica guerra civile degli anni ’70-80, nella quale furono coinvolti anche Siria e Israele. La sicurezza nazionale resta un problema perché il Libano confina con la Siria dove continua a infuriare il conflitto armato, e il sistema politico del Paese, che è stato senza presidente per più di un anno, rende la vita nella capitale una vera sfida. Durante l’estate, ad esempio, cumuli di rifiuti si sono accumulati per le strade dopo che la principale discarica ha chiuso a luglio, dando origine a violente dimostrazioni.

La difficile situazione non ha scoraggiato Tony Salamé, un magnate del commercio al dettaglio libanese, che ha investito in una fondazione privata su modello di quelle europee, americane e asiatiche. Né ha fermato l’organizzazione non profit Apeal, Association for the Promotion and Exhibition of the Arts in Lebanon, che ha lanciato un’ambiziosa campagna privata di fundraising per costruire un museo di arte contemporanea libanese entro il 2020. Il bando per il progetto è partito il primo ottobre, e prevede la presenza in giuria dell’architetto anglo-iracheno Zaha Hadid

Da parte sua, Salamé (fondatore della catena di moda Aïshti), ha investito 100 milioni di dollari per la realizzazione del suo museo d’arte contemporanea, gestito dalla Aïshti Foundation e progettato dall’architetto inglese David Adjaye a Jal El Dib, località costiera vicino a Beirut. Si è aperto il 25 ottobre con una selezione di opere dalla sua collezione di 2mila pezzi. La mostra inaugurale è curata da Massimiliano Gioni, direttore artistico del New Museum di New York.

«Molti libanesi sono ansiosi di avere un museo di arte contemporanea, spiega Salamé. Inoltre, il Paese ha avuto una diaspora di più di dieci milioni di cittadini, oggi residenti all’estero. Ogni anno 2 milioni di persone visitano il Libano e sono sicuro che verranno anche turisti dalla regione».

I mecenati privati hanno sopperito ai risicati fondi statali. Tra i maggiori collezionisti locali vi sono Johnny e Nadine Mobel, che hanno collezionato opere di importanti artisti nazionali come lo scomparso pittore Paul Guiragossian. «È la mancanza di fondi statali per l’arte contemporanea che ha indotto il settore privato a occuparsi del fundraising e della creazione di questi musei», afferma l’artista di Beirut Lena Kelekian.

Politica «incoerente»

Il Governo ha acconsentito al prestito al museo di Apeal di opere moderne di artisti libanesi dai 1.600 pezzi della collezione statale, ed è coinvolto anche in diverse iniziative pubblico-private, tra cui l’ampliamento da 13 milioni di dollari del Museo Sursock, che ha aperto l’8 ottobre dopo una ristrutturazione durata sette anni, su progetto dell’architetto francese Jean-Michel Wilmotte e del libanese Jacques Abou Khaled.

L’istituzione, ospitata in una villa donata alla città dallo scomparso collezionista Nicolas Sursock, gestisce una collezione di più di 800 opere che vanno dalla fine dell’Ottocento ai primi anni 2000. La politica culturale del Governo (di coalizione) non è tuttavia coerente, come sottolinea il sultano Sooud Al-Qassemi collezionista di Dubai. «Beirut attualmente ospita due musei apparentemente senza rapporti, dedicati alla civiltà e all’archeologia», dichiara.

L’architetto Renzo Piano è stato incaricato del progetto per la riqualificazione di piazza dei Martiri, nel centro della città, finanziata da fondi pubblici e privati.

Il progetto prevede due istituzioni: un nuovo museo archeologico, il Museo Civico di Beirut, che, ci ha detto il sultano, è stato finanziato con 30 milioni di dollari dal Kuwait, e il Museo delle Civiltà, che sarà progettato dallo studio libanese GM Architects. «Forse ci si potrebbe chiedere se tutto questo non stia accadendo troppo rapidamente e senza la supervisione e il coordinamento necessari», aggiunge Al-Qassemi.

Resta da vedere quanti visitatori internazionali raggiungeranno i due nuovi musei nell’attuale situazione geopolitica.

Gareth Harris, 02 novembre 2015 | © Riproduzione riservata

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