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Michela Moro
Leggi i suoi articoliDobbiamo agli austriaci e all’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo l’attuale edificazione del Palazzo Reale, nato come palazzo comunale o Broletto nel Medioevo, diventato poi sede istituzionale dei signori di questo o quel secolo, i Torriani, i Visconti, gli Sforza. La commissione al Piermarini avrebbe dovuto essere poco dispendiosa, ma con un risultato degno della residenza di un arciduca asburgico.
La costruzione iniziò nel 1773 per terminare, a tempo record, nel 1778. Durante il periodo napoleonico il palazzo fu depredato e perse parte degli arredi originari, ma venne poi ampliato grazie all’opera dell’architetto Luigi Canonica per diventare il palazzo di Eugenio di Beauharnais. Nella seconda guerra mondiale, il 15 agosto 1943, la Sala delle Cariatidi fu distrutta da un bombardamento i cui segni sono rimasti indelebili nella sua architettura.
Il Palazzo è a tutti gli effetti la punta di diamante del polo espositivo del Comune di Milano, insieme con la Rotonda della Besana, il Palazzo della Ragione e il contiguo Museo del Novecento (in cui ha trovato sede la collezione di arte moderna); l’ala di sinistra ospita una parte del museo dell’Opera del Duomo di Milano. Palazzo Reale è sede di esposizioni temporanee a ciclo continuo.
Attualmente le mostre ospitate sono quattro: una dedicata al Simbolismo, «Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra», con un centinaio di opere tra dipinti, sculture e una selezione di grafica, provenienti da istituzioni museali italiane ed europee e da collezioni private, scelte per rievocare l’ideale aspirazione di quel movimento artistico europeo teso a raggiungere un effetto unitario e sempre alla ricerca dell’opera d’arte totale. Curato da Fernando Mazzocca e Claudia Zevi in collaborazione con Michel Draguet, il percorso mette a confronto per la prima volta simbolisti italiani ed europei quali Arnold Böcklin, Giulio Aristide Sartorio, Fernand Khnopff, Jean Delville, Ferdinand Hodler, Odilon Redon, Gustave Moreau e Giovanni Segantini, tra gli altri.
Un’altra esposizione, curata da Francesca Rossi e Agostino Contò, è dedicata a uno dei più rilevanti artisti del Novecento, Umberto Boccioni. Boccioni fa parte del dna milanese e nel centenario della morte, avvenuta il 17 agosto 1916, viene celebrato con una grande mostra che ne raccoglie i dipinti, le sculture e le incisioni più importanti; a questi si aggiunge un corpus di 61 disegni e documenti inediti: un totale di circa 300 opere per raccontarne il percorso artistico, la notorietà internazionale e l’attività milanese. Ed è proprio l’immagine di Boccioni ad accogliere i visitatori nel Palazzo, immortalata nel celebre autoritratto proveniente dalla Pinacoteca di Brera, esposto al centro della prima sala per rendere visibile anche l’autoritratto presente sul retro.
Vi sono inoltre due appuntamenti dal sapore più contemporaneo: uno dedicato ai trentacinque anni di lavoro del collettivo Studio Azzurro (fondato a Milano nel 1982 da Fabio Cirifino, Paolo Rosa, recentemente scomparso, e Leonardo Sangiorgi), tra i primi gruppi italiani ad affrontare le nuove tecnologie in maniera artistica e innovativa. Intitolata «Studio Azzurro. Immagini sensibili» e curata dagli artisti stessi, la rassegna presenta le installazioni video più significative, molte delle quali interattive, più una nuova installazione realizzata per l’occasione e dedicata a Milano.
«2050. Breve storia del futuro», infine, è una rassegna che prende il nome dall’omonimo libro di Jacques Attali pubblicato nel 2006, nel quale l’autore ipotizza il futuro del mondo e della nostra società. Curata da Pierre-Yves Desaives, Jennifer Beauloye e precedentemente allestita nei Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles, la collettiva ripercorre le tematiche illustrate nel saggio di Attali attraverso otto stazioni e una cinquantina di opere di artisti contemporanei internazionali come David LaChapelle, Andreas Gursky, Francis Alÿs e Alighiero Boetti, solo per citarne alcuni.
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