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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliIl Ponte dedica una nuova mostra a Renato Ranaldi artista da tempo legato alla galleria, che da due anni si confronta con un nuovo materiale, la pietra. «Le pietre: sculture prima dell’invenzione della scultura» (come egli scrive in un testo pubblicato nel catalogo con postafazione di Bruno Corà), intese come frammento architettonico, pietra di risulta o object trouvé, su cui operare.
Così, in «Pietre», dall’11 giugno al 24 settembre, riprendendo una ricerca già avviata con le pitture di «Fuoriquadro», Ranaldi si rivolge ai margini, che divengono il reale luogo, il fulcro, seppur eccentrico, dell’azione. Le pietre scelte da Ranaldi non avrebbero in sé nulla di particolare per morfologia, ma al suo sguardo racchiudono invece una promessa.
Egli interviene su di esse, giustapponendo pietre di diversa origine ma anche unendole a altri materiali, parti metalliche di un meccano, un cavo d’ottone, rotoli di carta e di laminati metallici, e producendo così una trasformazione che si completa nell’intervento d’impasti di colore a olio proprio sulle parti marginali.
Un procedimento che, come nota Corà, sembra suggerire «il rifiuto di sottostare all’elemosina dell’attribuzione di “bravura” all’azione dell’artista, […] a negare ogni fare che “riempia” l’opera di qualsiasi segno o tema. In tal modo egli giunge alla scoperta del senso che per l’autenticità dell’arte ormai è necessario trovarsi “fuori” da se stessa!».
Un gesto radicale, «l’ennesimo episodio in cui Ranaldi torna a mettere l’Arte in relazione con il pericolo». E nel suo scritto Ranaldi annota: «Sarebbe il caso di piantarla di rispondere alla suggestione degli universi nei quali non dimora alcun Principio, ma solo il sempre stato: è l’invito alla ridiscesa sul nostro microcosmo per deporre i sogni».

Renato Ranaldi, «Estraniante», 2020
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