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Quanta passione nel Cubo Rosso

Quanta passione nel Cubo Rosso

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

I collezionisti Ghisla abbinano Morellet e Varisco

 

Si è aperto il 20 marzo, nel Cubo Rosso, il terzo allestimento della Ghisla Art Collection, la collezione d’arte contemporanea di Pierino e Martine Ghisla, ricca di 200 opere di oltre 160 artisti internazionali, dai maestri storici Picasso, Miró, Masson, Magritte, Dubuffet (presenti quasi sempre, ma non solo, con lavori su carta) a Tàpies, Cy Twombly, Wesselmann, Rosenquist, Basquiat (tutti con grandi dipinti), agli importanti lavori di Fontana, Castellani, Bonalumi, Kounellis, Boetti, Christo, Buren, Indiana e di molti altri maestri della contemporaneità, spesso messi in dialogo con opere di giovani artisti, meno noti.

 

Intitolato «Sguardi contemporanei», il nuovo allestimento di circa 70 opere è visibile fino all’8 gennaio 2017 nella sede della Ghisla Collection Art, progettata dallo studio Moro&Moro di Locarno, che ha inglobato un’anonima palazzina in un cubo nero e l’ha poi rivestito con una fitta rete di metallo rosso fuoco, mentre ridisegnava radicalmente gli spazi interni.

 

Novità di questa edizione è la presenza (fino al 21 agosto) al terzo piano della mostra temporanea «François Morellet/Grazia Varisco», nella quale i due artisti espongono fianco a fianco i loro lavori, giocati su una stretta relazione percettiva con l’osservatore. Con Pierino Ghisla parliamo della passione collezionistica condivisa con la moglie Martine. 

 

Signor Ghisla, lei e sua moglie avevate alle spalle una tradizione familiare di collezionismo? 

 

Assolutamente no. Sono nato in Val di Blenio, settimo di otto fratelli di una famiglia contadina. Ho studiato fino ai 15 anni, percorrendo parecchi chilometri ogni giorno poi, un’estate, sono andato in Belgio da uno zio che aveva una piccola attività di importazione di frutta e verdura. Pensavo di fermarmi un mese, per una vacanza, invece sono rimasto lì per 47 anni, perché il lavoro mi è subito piaciuto: a 20 anni dirigevo l’azienda, a 23 ero il titolare.       

 

Quando è scattata la scintilla del collezionismo?  

 

Nei nostri viaggi mia moglie e io visitavamo sempre le città d’arte. Per la nostra prima casa acquistammo dipinti del secondo Ottocento poi un giorno, nel 1975-76, vidi in una galleria di Bruxelles un dipinto di Georges Mathieu e ne fui folgorato. La richiesta era eccessiva per noi, ma piaceva anche a mia moglie. Iniziammo a comprare riviste di arte contemporanea e pochi mesi dopo, quando scoprimmo che Mathieu avrebbe esposto a Knokke, vicino a Bruges, telefonammo al gallerista, che ci suggerì di andare da lui prima dell’inaugurazione per scegliere l’opera preferita. Finché un giorno non scambiammo tutti i nostri dipinti dell’Ottocento con una sola opera di Christo, «Umbrellas» del 1990. Prima avevo però comprato la gouache «La place au soleil», 1956, di Magritte, più facile, perché figurativo: un dono per mia moglie, che è belga.

 

In fatto d’arte avete gli stessi gusti?  

 

Non necessariamente, ma l’accontento sempre. E non mi sono mai pentito, come con il Twombly, che non volevo. Facemmo un patto: lo acquistai e lei «accettò» il Basquiat, di cui non era convinta. In generale le opere più cupe sono quelle scelte da me; le più luminose da lei.

 

Ada Masoero, 05 aprile 2016 | © Riproduzione riservata

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