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Alessandra Ruffino
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A vent’anni dalla prima edizione italiana, il Saggiatore ha pubblicato la riedizione di Nostalgia dell’antico e fascino della macchina di Horst Bredekamp
Per rispondere al quesito «Quale futuro per la storia dell’arte nell’era digitale?» l’autore interroga le Kunstkammern rinascimentali. Con gran dinamismo dialettico lo studio sollecita l’attenzione del lettore, portandolo da un quadro di Parmigianino al nastro di Alan Turing (il decodificatore della macchina Enigma con cui la Wehrmacht cifrava i messaggi durante l’ultima guerra mondiale), passando per l’Occulta philosophia di Agrippa, le utopie di Campanella e Bacone, il pensiero di Locke, o attraverso l’antitesi Winckelmann/Piranesi, «gemelli siamesi del progresso, indissolubilmente legati, nonostante la contrapposizione», entrambi assillati dall’Antico: uno nella forma dell’ideale filosofico-estetico-repubblicano di Atene, l’altro in quella rappresentata dall’esperienza tecnico-meccanico-autoritaria di Roma. L’Antico, appunto.
Questo l’oggetto al centro dello studio, nonché d’un sistema concettuale ove esso è in continuo scambio con la natura, l’artificio, l’uomo e la macchina. Sono i collezionisti del XVI secolo a riconoscere nelle antichità il raccordo tra mondo naturale e uomo; a gara con Prometeo, che replica l’atto del Creatore anche in quanto «giocatore», seguono una catena ove forma naturale-scultura antica-opera d’arte-macchina sono legate. In quegli attivi laboratori che sono i loro studioli, naturalia, artificialia, scientifica ed exotica coesistono senza scale gerarchiche.
Le Kunstkammern sono acceleratori del tempo capaci di precorrere l’avvenire, oltreché microcosmi: guardando le «Schüttelkästen» di Ambras, scatole in cui si ricostruiva una porzione di terreno con relative fauna e flora, vien da chiedersi quanto debbano a esse le «shadow boxes» di Cornell o i «tappeti natura» di Gilardi di quattro secoli dopo. Depurato da quell’aura di bizzarra monomania che spesso lo soffonde, il collezionismo cinquecentesco è visto da Bredekamp in chiave anche politica: fu l’ambizione degli Asburgo a un dominio mondiale a far di loro degli avidi collezionisti: le raccolte di Rodolfo a Praga e di Ferdinando del Tirolo ad Ambras fecero scuola e il corpus di oggetti extraeuropei di quest’ultima costituisce «la prima testimonianza di un’etnologia che mostra rispetto per gli stranieri».
l rapporto tra museo e potere diventerà preminente da quando nel 1764 Winckelmann, bibliotecario di Villa Albani (primo museo autonomo moderno), spezzerà la concatenazione forma naturale-scultura antica-opera d’arte-macchina, affrancando la scultura dai doveri di utilità, ponendo l’arte al sommo di una gerarchia d’ideali valori umani e stabilendo quel criterio classificatorio sulla cui base verranno riordinati i musei moderni. La «storia ludica della natura», però, era stata impostata nelle Kunstkammern, laddove, senza ordine disgiuntivo, la «trasformazione della natura, creatrice di immagini, attraverso l’Antico e l’opera d’arte successiva fino alla macchina», muoveva dal «desiderio di precisare i momenti di passaggio» (e par di sentire Montaigne, quando diceva di non voler dipingere l’essere ma il passaggio).
Passo passo, l’autore mostra come il mondo delle intelligenze artificiali abbia ereditato il nucleo teorico delle Kunstkammern, che per prime «avevano scommesso quasi interamente sul pensiero delle immagini e attraverso le immagini». Con un rimprovero a Foucault nel finale, che non ha compreso come l’esperienza visiva non preluda all’evoluzione linguistica ma sia linguaggio in sé, il libro va a chiudere. È da godere in ogni pagina un’indefessa, magnifica ispirazione warburghiana che palpita tanto nell’ampiezza di orizzonti, quanto nella ferace lezione di sincretismo.
Nostalgia dell’antico e fascino della macchina
di Horst Bredekamp
trad. di Massimo Ceresa
158 pp., ill. b/n
Il Saggiatore, Milano 2016
€ 23,00
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