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Luca Scarlini
Leggi i suoi articoliIl cielo vissuto come limite, opprimente conferma del proprio scacco, è una condizione tipica dell’artista nell’epoca che genialmente Jean Starobinski ha collocato sotto il segno del saltimbanco.
Finite le rivoluzioni nazionali, falliti i sogni anarchici e prima del tremendo bagno di sangue della prima guerra mondiale, molti creatori, tra il 1870 e il 1910, faticano a trovare il proprio posto, si danno ad avventure esistenziali estreme. Émile Zola ne L’œuvre (1886) aveva posto in modo fortemente critico al centro della storia la figura di un «maudit», il pittore Claude Lantier.
Su temi simili, ma con maggiore empatia, si muove Octave Mirbeau nel notevole romanzo Nel cielo, uscito per la prima volta in rivista nel 1892-1893 e non raccolto in volume dall’autore. Al centro della scrittura sta il dolente ritratto di un inetto, contrassegnato come X, il quale vive, tra infinite angherie, in una famiglia provinciale che lo reputa idiota, limitato nel pensiero. Egli invece ha una sensibilità acutissima, che lo fa soffrire. Per questo si lega a un artista, Lucien, animato da una strepitosa volontà di rivolta, ma ancora di più da una fortissima tensione all’autodistruzione. Nella sua furia di fronte alla tela, nella critica furiosa alla sua opera, si intravede, chiaramente, il profilo di Vincent van Gogh, scomparso nel 1890, poco prima della scrittura, quindi, che anima con forza il ritmo battente di queste pagine amare.
Nel cielo, di Octave Mirbeau, traduzione di Albino Crovetto, 140 pp., Skira, Milano 2015, € 14,00
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