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Walter Guadagnini
Leggi i suoi articoli«“Kin” cerca di misurare il fossato che separa gli ideali di una società dalla sua realtà»: con queste parole Pieter Hugo, fotografo sudafricano nato a Johannesburg nel 1976 e ormai personaggio di primo piano della scena fotografica internazionale, presenta il suo ultimo lavoro, esposto fino al 26 aprile alla Fondation Henri Cartier-Bresson (alla mostra, coprodotta insieme alla Fundació Foto Colectania di Barcellona e alla Stevenson Gallery di Città del Capo, si accompagna un volume edito da Aperture, New York, dallo stesso titolo).
Attraverso ritratti, paesaggi e interni, Hugo mira a raccontare il Sudafrica contemporaneo e soprattutto le sue specificità e le sue contraddizioni, inestricabilmente legate. Come afferma l’autore stesso, «circa 8 anni fa ho cominciato a fotografare intorno a questa nozione di terra natale, quale sia il suo senso, da un punto di vista pubblico e privato. Guardare il proprio Paese con occhio critico significa guardare se stessi e guardare il proprio vicino. È sentire il peso della storia e capire il ruolo che ognuno vi gioca. (...) Questa terra natale è il luogo dove appartenenza e alienazione convivono».
Tutto ciò, quando si tratta di un Paese come il Sudafrica, «fratturato, schizofrenico, ferito», implica naturalmente affrontare temi cruciali come il colonialismo, l’apartheid e le sue conseguenze, i rapporti sociali sempre più difficili tra classi agiate che aumentano le loro ricchezze e classi sempre più povere, temi da sempre presenti nella ricerca dell’artista.
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